A quarant'anni dalla celebrazione della Messa a Cornaredo, è ancora vivo il ricordo di alcune persone presenti all’arrivo di papa Wojtyla
Avrebbe dovuto arrivare in Svizzera già qualche anno prima. Ma il viaggio fu rinviato a causa di una pallottola. Papa Giovanni Paolo II giunse dunque a Lugano solo il 12 giugno 1984, tre anni dopo, rispetto a quanto inizialmente pianificato. Per ricordare i quarant’anni trascorsi da quel viaggio pastorale, abbiamo interpellato alcune persone coinvolte e semplici spettatori.
In quella folla festante che si trovava tra l’aeroporto, lo stadio e le vie luganesi, era presente anche il giovane studente Paolo Beltraminelli. Per lui, così come per tanti altri, «è stata una giornata che non si potrà dimenticare. C’era un gran fermento, quello fu un avvenimento indimenticabile. A causa dell’attentato subito dovette annullare quel viaggio, ma mantenne comunque la promessa e qualche anno dopo venne lo stesso in Svizzera». La prima tappa di quel viaggio fu proprio Lugano e l’evento clou fu l’abbraccio ai fedeli a Cornaredo: «Per una volta il Ticino era unito. Quel giorno il campo di calcio era tutto ricoperto da tavole in legno per proteggere l’erba, ma fu ugualmente devastato dalle decine di migliaia di persone, tra le quali c’ero anch’io a seguire il passaggio della papamobile».
L’assedio dei 30mila presenti allo stadio per scrutare il Papa diventato Santo, se lo ricorda bene anche Sandro Rovelli, l’allora direttore del Dicastero sport della città: «Per oltre sei mesi, assieme alla protezione civile e alla polizia, abbiamo curato la sicurezza dell’evento. I preparativi furono lunghi, perché era il primo viaggio all’estero dopo l’attentato che subì a Roma nel 1981». Quel martedì, ricordato anche per il caldo, era tutto ben organizzato e con tempistiche chiare, tranne, ovviamente, uno strappo al protocollo: «Il Papa, prima di raggiungere il mio ufficio adibito per l’occasione con mobili molto eleganti e dove era atteso per rinfrescarsi, vide che nella curva nord c’erano gli ammalati e tornò indietro a piedi pur di salutarli. È stato un gesto molto bello, ma questa decisione improvvisa mandò, per qualche minuto, a rotoli la sicurezza composta da 400 agenti».
I preparativi furono decisamente lunghi non solo per la sicurezza, ma anche per l’intera diocesi. Su quel palco allestito a Cornaredo il servizio all’altare toccò ai seminaristi. Tra loro, c’era anche l’attuale archivista storico della diocesi don Carlo Cattaneo, all’epoca seminarista della Comunità teologica ticinese con sede al Salesianum di Friborgo: «Ricordo che nei mesi precedenti padre Amedeo Grab, allora segretario generale della Conferenza dei Vescovi svizzeri (dal 2007 fino al suo decesso nel 2019, amministratore apostolico di Coira, ndr), aveva chiesto a noi del seminario ticinese di collaborare nella traduzione di alcuni testi che il Papa avrebbe pronunciato durante il suo viaggio: a me toccò tradurre dal francese all’italiano il suo breve intervento davanti all’ospedale di Friborgo. Provavo un senso di curiosità perché stavamo per vivere un evento unico sia nella storia del Ticino che della Svizzera intera». I preparativi furono intensi anche nei giorni precedenti proprio allo stadio: «Nel pomeriggio del giorno precedente l’arrivo del Papa a Lugano, vi furono le prove ‘sfiancanti’ della celebrazione eucaristica a Cornaredo sotto la direzione decisa ed esigente di don Valerio Crivelli (allora presidente della Commissione liturgica pastorale della diocesi, ndr), al quale non sfuggiva il benché minimo errore o distrazione. A noi seminaristi toccò il servizio all’altare, io avevo il compito di reggere la croce pastorale. Il Papa avrebbe dovuto essere accolto mentre si recitava il rosario, ma, come era prevedibile, appena entrò a Cornaredo vi fu il boato della folla. Un entusiasmo e una partecipazione proprio da stadio».
Il Papa quel giorno arrivò a Lugano dopo una tappa a Kloten e «appariva affaticato, ma appena iniziò la celebrazione riacquistò un vigore che mi impressionò profondamente. Finita la celebrazione e con la delegazione avviatasi verso la Cattedrale, noi seminaristi raccogliemmo l’eucaristia avanzata e la portammo nella chiesa di Cristo Risorto a Molino Nuovo». Come precisa don Carlo Cattaneo, il Papa avrebbe potuto sostare qualche istante anche nel Malcantone: «Nella documentazione conservata nell’Archivio Storico Diocesano esiste una lettera di don Luigi Fumasoli, allora prevosto di Agno, con la quale chiedeva a monsignor Arnoldo Giovannini, perfetto organizzatore della visita, che il Papa sostasse nella chiesa Collegiata di San Provino. La risposta giunta fu negativa soprattutto per motivi organizzativi».
A riempire lo stadio c’erano anche una marea di studenti delle scuole ticinesi. Don Patrizio Foletti, rettore del collegio Papio di Ascona, ricorda: «Andammo con tutte le classi. Furono organizzati ben sette pullman per raggiungere Cornaredo e già prima di partire il clima era di festa così come durante tutto l’arco della giornata». Per Foletti che concelebrò la messa, quel viaggio del Papa fu di importanza nazionale: «La comunità svizzera per la chiesa è una piccola entità e la scelta di Giovanni Paolo II di venire da noi è stata molto significativa così come l’intero viaggio in Svizzera. Visitò infatti San Nicolao della Flüe che è il nostro patrono, e gli studenti dell’università di Friburgo che ha un’importante tradizione cattolica. Il suo intento fu proprio quello di voler unire le diverse realtà svizzere». Tra i ragazzi che raggiunsero Lugano con i treni speciali organizzati appositamente, c’era anche l’allora 16enne don Italo Molinaro: «In Ticino si respirava un’aria di festa, tutto si era fermato per quella giornata. Io ho avuto la fortuna di essere tra i giovani scelti per ricevere la Comunione direttamente da Papa Giovanni Paolo II e quello fu un momento davvero emozionante, soprattutto per il clima generale che si respirava tra musica e canti di gioia».
Uno degli obiettivi di Karol Wojtyla della visita in terra elvetica, nella settimana dopo la Pentecoste, fu quello di unire i fedeli dell’intera nazione anche se spesso comunicano in lingue diverse. Come si può leggere nell’omelia di quel 12 giugno, “col prodigio delle lingue lo Spirito ratifica tale multiforme presenza, consentendo a ciascuno di ascoltare gli apostoli nel proprio idioma natio”. Inoltre, al termine sottolineò che “il Ticino ha potuto attingere al ricchissimo patrimonio religioso suscitato da uomini della statura di sant’Ambrogio e di san Carlo Borromeo. La vostra condizione di diocesi relativamente giovane, in posizione geografica di confine, costituisce uno stimolo alla ricerca di una Comunione sempre più profonda con le altre Chiese”, concludendo con un augurio: “Sappiate essere all’altezza del vostro glorioso passato”. Il viaggio colpì non solo gli svizzeri, ma anche il Santo, come precisò nella prima udienza generale post viaggio: “Tutti gli incontri, specialmente quelli liturgici nella comune Eucaristia mi sono rimasti profondamente nel cuore”.