Dalle carte messe a disposizione del procuratore generale emerge che lo scenario relativo all’abbattimento dell'edificio F era noto al Municipio di Lugano
Era stato condiviso tra forze dell’ordine e Municipio di Lugano oltre tre mesi prima dei fatti, lo scenario relativo all’abbattimento dell’edificio F dell’ex Macello di Lugano, dopo lo sgombero degli autonomi, avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 maggio del 2021. È quanto emerge da alcune carte desecretate dalla Polizia cantonale e consegnate al procuratore generale Andrea Pagani, al quale la Corte dei reclami penali (Crp) ha rimandato l’incarto sostenendo che la prima inchiesta fosse lacunosa e ordinando ulteriori approfondimenti. Su altra documentazione dapprima oscurata, successivamente sigillata, deve ancora esprimersi Ares Bernasconi, giudice dei provvedimenti coercitivi (Gpc).
Intanto, da materiale ‘riportato alla luce’ emerge, come riporta areaonline.ch, almeno un elemento che fa vacillare la tesi secondo la quale la decisione di demolire lo stabile F venne presa in urgenza dalla polizia. La parola demolizione auspicata appare in e-mail intercorse tra autorità cittadina e Polizia cantonale, l’ultima delle quali reca la data del 18 marzo 2021, tre mesi prima della demolizione del 29 maggio. Nello stesso documento, prosegue la versione online del mensile, il termine demolizione compare altre due volte nei preparativi dell’operazione “Papi”, il titolo dato allo sgombero del centro sociale Il Molino. Nelle comunicazioni, si parla di difficoltà tecniche nei lavori edili per la “demolizione”, la necessità di contattare discretamente imprese edili private in grado di abbattere l’edificio, infine, nella seconda fase post sgombero, di come “farle intervenire” sul posto perché svolgessero il lavoro. Come noto, le ruspe sono effettivamente state azionate.
Al termine della prima inchiesta, il pg aveva scagionato dalle accuse il vicecomandante della Cantonale Lorenzo Hutter (a capo dell’operazione di polizia) e la municipale luganese Karin Valenzano. Pagani aveva stabilito che la demolizione fu presa in uno stato di “necessità esimente”, decisa sul momento dalla polizia e autorizzata dall’esecutivo luganese “per salvaguardare le vite di manifestanti e poliziotti”. Perciò, Pagani li aveva scagionati dalle ipotesi di reato di abuso di autorità, violazioni delle regole dell’arte edilizia e infrazione alla legge sulla protezione dell’ambiente. Poi, però, la Crp aveva annullato i decreti d’abbandono, accogliendo il ricorso di Costantino Castelli, legale dell’associazione Alba, firmataria della convenzione con la Città per l’uso di una parte del sedime. Dai nuovi documenti, più che un’urgenza, la demolizione appare invece premeditata.