La Crp del Tpf si allinea all’Mpc: le otto guardie di confine che un anno fa hanno fermato due sospettati di traffico di droga non hanno commesso reato
Il 7 settembre del 2022 a Lugano Sud non c’è stato nessun abuso d’autorità. A ribadirlo è la Corte dei reclami penali (Crp) del Tribunale penale federale (Tpf), che ha respinto il reclamo dell’avvocato Ezio Tranini, legale di uno dei due uomini che erano stati perquisiti e fermati dalle Guardie di confine in quanto sospettati di traffico di droga. Gli agenti non avevano trovato nulla, mentre i due uomini – un imprenditore (l’assistito di Tranini) e un banchiere albanesi, entrambi residenti nel proprio Paese – si erano sentiti trattati ingiustamente. Pertanto il 15 settembre si era arrivati alla denuncia per abuso d’autorità, sequestro, vie di fatto, diffamazione e danno morale. A inizio 2023 il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) aveva emesso un decreto di non luogo a procedere, scagionando di fatto gli otto agenti, ma è scattato il reclamo. Terminato, tuttavia, anche questo in un nulla di fatto.
La sentenza è del 14 agosto scorso. La Corte, presieduta da Roy Garré e composta anche da Miriam Forni e Nathalie Zufferey, ha sostanzialmente confermato la valutazione dell’Mpc. Partendo dall’indubbio presupposto che durante il fermo vi siano stati un uso della coercizione e che si sia trattato di misure di polizia, a essere “controversa è la questione di sapere se queste siano state giustificate e proporzionate”, quantificando in tre i momenti critici da esaminare: la fase iniziale del controllo di polizia; l’ammanettamento; la custodia nella sede dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza di Mendrisio. Prima di esaminare questi aspetti, i giudici federali ribadiscono la bontà del sospetto iniziale che ha portato al controllo. In sostanza, la Hyundai Grandeur con targhe albanesi sulla quale viaggiavano i due uomini era stata segnalata dal sistema Afv – il software che viene utilizzato per la ricerca automatica di veicoli – come auto sospetta utilizzata da organizzazioni criminali albanesi per il trasporto di droga o soldi sporchi.
I due fermati, ricordiamo, erano stati invitati alla partita fra Inter e Bayern Monaco valida per la Uefa Champions Leauge a Milano. Colgono l’occasione per recarsi a Lugano per incontrare l’avvocato e sbrigare alcune pendenze prima del match. In città tuttavia non arrivano mai, perché una pattuglia delle Guardie di confine ordina loro di uscire dall’autostrada a Lugano Sud e di accostare nei pressi di una stazione di benzina e di un fast food. Quello che ritenevano essere un controllo di routine si trasforma in un fermo complessivo di circa tre ore. Dopo un iniziale controllo senza esito, “in palese violazione del principio d’innocenza” secondo l’avvocato, sono stati portati a Mendrisio, “rinchiusi in due celle separate, mentre il veicolo veniva perquisito da cima a fondo. Senza però trovare assolutamente nulla e senza nemmeno scusarsi al termine di un intervento che giudichiamo sproporzionato e ingiustificato”. O meglio, giustificato, secondo i denunciati, da una discriminazione dovuta alle targhe albanesi dei due fermati.
Ebbene, quest’ultima accusa secondo il Tpf è “priva di fondamento”: “Non si vede come il fatto di avere provveduto come loro dovere a un controllo di un veicolo registrato su una banca dati, da tempo riconosciuta come uno strumento essenziale nella lotta contro la criminalità transfrontaliera”. La fase iniziale del fermo dunque “rientra nelle normali modalità di controllo di un veicolo sospetto previste dalla legge”. Nulla da fare nemmeno per il secondo punto contestato: l’ammanettamento. Pur contemplando una situazione di “forte disagio”, la Corte sottolinea che gli agenti “avevano indizi concreti per ritenere di avere a che fare con dei trafficanti di stupefacenti (sebbene il primo controllo superficiale non avesse dato esito in tal senso, ndr), per cui l’attivazione di dovute precauzioni si giustifica”. Ciò considerato, e dato che il veicolo utilizzato per il trasporto a Mendrisio era privo di divisorio, ammanettare i due uomini è considerata una misura “idonea”. Riguardo alle impronte sulle braccia: la loro origine è ignota e le coordinate della foto che le testimoniano sono ritenute ignote e in ogni caso non indicherebbero che le manette sarebbero state strette in maniera contraria al regolamento. Neanche in questa fase dell’intervento sono pertanto “ravvisabili elementi che possano configurare un abuso d’autorità”. Infine, sul fermo a Mendrisio: questo “è durato il tempo necessario per effettuare il controllo sul veicolo (circa un’ora per ispezionarlo minuziosamente, ndr) ed è stato dunque proporzionato oltre che conforme alle disposizioni”.
In conclusione l’Mpc, rinunciando ad aprire una procedura penale, “data la palese assenza di indizi di reato, non ha violato il principio in dubio pro duriore e non vi è nessun elemento per ritenere necessaria l’assunzione di ulteriori mezzi di prova”. Altrettanto respinta la presunta violazione del diritto di essere sentiti dei denuncianti. Proprio a loro passa la palla ora: vorranno rivolgersi alla Corte europea di Strasburgo, o la vertenza termina qui?