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Abusata fin da piccolissima: ‘Si ha l’impressione di morire’

La testimonianza di una vittima che dopo 50 anni è riuscita a raccontare la sua storia. Intanto il Ticino perde l’antenna rivolta a chi prova perversioni

(Depositphotos/Ti-Press)
1 settembre 2023
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Anna è la più piccola di tre fratelli. Dopo 50 anni è finalmente riuscita a ricordare. Il padre abusava di lei. La prima volta quando aveva un anno e mezzo di vita, poi a sei e ancora e ancora. Per tutta la sua vita ha cercato di dare un senso al caos che sentiva dentro. Di capire cosa le fosse successo. I ricordi sono poi riaffiorati, a singhiozzi, in diversi momenti. In quanto vittima, Anna (il vero nome è noto alla redazione) ha sentito il bisogno di raccontarci la propria esperienza per denunciare una violenza che ancora oggi esiste, persiste e distrugge.

«Per sopravvivere all’abuso da bambina ho cercato di fare la brava, giocavo da sola per rendermi invisibile sperando che papà non mi facesse più ‘quella brutta cosa’. Da ragazzina cercavo di rendermi brutta, indossavo vestiti larghi e lunghi, pensando che in quel modo non sarei più stata attraente. Da adolescente ho rifiutato lo stile di vita dei miei genitori. Da adulta ho scelto mio marito, l’uomo della mia vita, esattamente all’opposto di mio padre. Oggi ho bisogno di parlare del tema degli abusi sessuali, perché troppe madri, troppi padri e troppi familiari volgono lo sguardo dall’altra parte».

‘Insinuava che la colpa fosse mia’

Per lungo tempo Anna non è riuscita a ricordare veramente quanto subìto da bambina. «A oggi finalmente sono riuscita a rimettere insieme i pezzi. I ricordi sono tornati nelle più svariate occasioni. Come quella volta che, dopo aver guardato un film al Festival di Locarno sugli abusi, sono uscita sconvolta. La storia rappresentata era anche, in parte, la mia. Non lo capii immediatamente. Avevo ventiquattro anni. Poi sono nati i miei figli, e quelle sensazioni sono un po’ state accantonate». Due anni fa, prosegue, «mio padre, ormai anziano, è stato ricoverato in ospedale, e mentre i miei fratelli e mia madre erano tristi per la sua condizione, e con più la loro preoccupazione cresceva, più in me si faceva spazio la rabbia».

Negli ultimi anni Anna ha deciso di voler intraprendere un percorso con una psicologa. Dopo l’ospedalizzazione del padre ha da subito avvertito l’esigenza di scavare più a fondo. «Mi sono sempre sentita un problema per mia madre, che ha sacrificato la mia integrità psicofisica per salvare papà, per nascondere i suoi abusi. E mio padre nei suoi ultimi anni di vita mi evitava. Ogni volta che andavo a trovarli si rintanava in ufficio o cercava un pretesto per allontanarsi. Mia madre mi diceva che si comportava così solo con me e in questo modo cercava di insinuare dentro di me che fosse colpa mia». Durante le sedute sono poi emerse altre memorie d’infanzia. «È grazie alla tecnica dell’Emdr (L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing è un tipo di approccio terapeutico usato per curare eventi traumatici e stressanti attraverso una stimolazione specifica che coinvolge entrambi gli emisferi cerebrali, ndr), che ho capito cosa mi era davvero successo. Dopo ogni incontro il groviglio nella mia testa si riordinava sempre di più». Tra una confessione e l’altra ci mostra delle fotografie di quando era bambina. Nell’età della spensieratezza e della gioia, sul suo volto dominava la tristezza.

‘Per sopravvivere si dimentica’

Ma il ricordo forse più doloroso è scaturito da una conversazione con la sorella che un giorno le disse: “Anna, ho appena parlato con papà che gridava dal dolore. Pensa al male più grande della tua vita: papà si sente così”. «Per una frazione di secondo ho pensato a uno dei miei parti, ma poi finalmente ho ricordato. Ho ricordato quando, nella camera d’albergo al mare, mio padre ha cercato di violentarmi e quando ho provato a difendermi mi ha abusata con ancora più violenza». Anna era terrorizzata dal padre: «Subire un abuso causa dolore e panico così forti che si ha l’impressione di morire. Con il tempo poi ho imparato a distaccarmi dal mio corpo, come se fluttuassi, solo grazie alle sedute di Emdr ho ricominciato a vivere le emozioni da dentro il mio corpo».

Era il 10 luglio 2021 quando la sorella le ha detto quella frase rivelatrice, e per Anna quel giorno rappresenta una data significativa. «È stato il giorno della mia rinascita. Da una parte ho provato dolore per l’abuso subito, però poi sono stata pervasa da questa forza. Ho scelto la verità e ne ho parlato con mia madre. Ci sono voluti oltre due mesi per riuscire ad affrontarla». Da bambina Anna aveva già espresso alla madre la propria paura del padre, che non voleva che lui le facesse il bagno o la tenesse con sé. “Papà vuole così”, fu una risposta. “Sono solo baci e carezze”, un’altra. «Sento ancora la stoffa del suo grembiule a cui mi aggrappai con disperazione chiedendole aiuto, con la speranza di essere ascoltata e soprattutto creduta. Poco dopo subii un altro abuso. E qualche giorno dopo dovetti andare all’ospedale per un problema all’anca. Lì, ricordo di essere stata io a rassicurare mia madre dicendole di non preoccuparsi, che non era così doloroso. Mi dissociavo dal mio corpo. E per sopravvivere si dimentica. Ecco perché ho dimenticato così a lungo».

‘Fiera di aver dato ai miei figli un padre che non somiglia al mio’

Quando Anna disse alla madre di essere stata abusata e di ricordarsi anche la ragazza alla pari che si occupava di lei quando aveva l’età del primo abuso la madre le rispose: “Sì, ho pensato fosse successo”. «Fui scioccata e arrabbiata nello scoprire che mamma sapeva e non mi ha mai difesa. Un sentimento che si è affievolito solo dopo un anno». Quando da bambina «le chiesi aiuto lei non apriva gli occhi e le orecchie, non aveva il coraggio. Credo che sia perché avrebbe dovuto riaprire una ferita troppo grande: quella inferta anche a lei da bambina». Quando finalmente Anna è riuscita a esternare l’accaduto con la sorella era un tema tabù da evitare.

Comunque «sono fiera di aver dato ai miei figli un padre che non somiglia affatto al mio». E quando lui è deceduto «mi sono finalmente sentita sollevata: non poteva più farmi del male». Anche il prete, conclude, «durante il funerale ha sottolineato l’umanità peccatrice di papà e le sue ombre, ecco che forse in tanti conoscevano la verità». Questo dolore e questa fragilità Anna è riuscita a trasformarli in un suo riscatto personale, e parlare di abusi aggiunge senso alla sua vita.

L'Associazione

‘Io-NO! costretta a chiudere i battenti’

Gli abusi creano sofferenza nelle vittime, che fortunatamente hanno diversi servizi a cui rivolgersi. Rappresentava invece un unicum in Ticino l’Associazione Io-NO! – attiva dal 2021 con sede a Lugano – in quanto si occupava di fornire ascolto a chi presenta queste pulsioni sessuali nei confronti dei minori pur non avendo esercitato alcuna forma di abuso. Un supporto che purtroppo non ci sarà più. «Il Ticino è troppo piccolo e non è probabilmente pronto culturalmente per un servizio del genere», è sulla linea di quest’affermazione che la direttrice Sarah Gamper ci ha raccontato come si è arrivati alla chiusura definitiva dell’associazione. Una primizia assoluta nel cantone che ha avuto vita breve. Ma quali sono le cause?

‘Difficoltà nel trovare finanziamenti’

«La decisione di chiudere è dovuta a diversi fattori. Da un lato la ricerca fondi non ha portato a ottenere i soldi auspicati (in Ticino trovare fondi per una causa del genere risulta davvero complicato) e dall’altro gli aiuti del Cantone (per il tramite del fondo Swisslos) e della Confederazione, non ci hanno permesso di sostenere i costi previsti. Inoltre, le grandi fondazioni si trovano oltre Gottardo e finanziano prevalentemente progetti locali; questo ha reso molto difficile trovare i fondi necessari per mantenere in piedi la nostra struttura». È importante «ricordare che per lavorare in un ambito delicato come questo è assolutamente necessaria la professionalità e questo comporta dei costi. Se dovessimo rifarlo oggi, direi che bisognerebbe avere in primis un riconoscimento istituzionale ed essere magari sotto un dipartimento».

Nel Canton Vaud esiste da quasi 30 anni

Forse un giorno «la società sarà pronta e il Cantone sarà disposto a lanciare un progetto pilota». L’idea ticinese ricalcava quanto già si fa dal lontano 1995 nel canton Vaud a Losanna con l’associazione ‘Dis No’. Anche sul frangente svizzero tedesco è attivo un servizio simile: ‘Kein täter werden’. Come a nord del Gottardo anche a sud le casistiche non mancano. «Nel 2021 abbiamo avuto una decina di segnalazioni e nel 2022 anche. E questo non facendo praticamente alcuna pubblicità».

Gli abusi sessuali su fanciulli sono una tematica che «fa paura. Ma non si può ignorare che il fenomeno esiste e che può e deve essere prevenuto». Viene dunque a mancare un’antenna che aveva tutte le prerogative per poter affrontare una problematica, che come hanno dimostrato i recenti casi di cronaca giudiziaria, è ancora presente.