Presentate le richieste di pena per le circa 75mila bottiglie di vino contraffatte messe sul mercato in un anno e mezzo dai cinque imputati a processo
«Più che allo scaricabarile, si è giocato allo scaricabotte: tutti c'erano ma nessuno ha fatto nulla». Con queste parole la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti ha introdotto la sua requisitoria al processo per la truffa del vino in corso da stamattina davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, Dopo un lungo intervento dove è stato ripercorsa la posizione di ogni singolo imputato, l'accusa ha proposto condanne comprese tra i 12 mesi sospesi e i 4 anni di carcere. Per i due cittadini italiani, l'accusa si è rimessa alla Corte per l'espulsione dalla Svizzera. Domani sono in programma le arringhe degli avvocati difensori Sandra Xavier, Pascal Frischkopf, Olivier Ferrari, Pierluigi Pasi e Mattia Bordignon. La Corte pronuncerà la sentenza verosimilmente nella giornata di giovedì.
L'inchiesta che ha portato in aula i 5 imputati ha preso avvio dall'assunzione di un procedimento aperto nel canton San Gallo dopo la denuncia di due società legata alla vendita di Tignanello 2021 risultato contraffatto. «L'incarto è arrivato in Ticino perché è emerso che le società che hanno smerciato erano domiciliate in Ticino o facevano capo a persone domiciliate in Ticino – ha spiegato Rigamonti –. È così emerso che una prima denuncia è stata presentata dal produttore e dal distributore ufficiale per la Svizzera del vino Tignanello, per 240 bottiglie al prezzo di 54,50 franchi, inferiore rispetto al solito». La proposta è stata fatta a un'enoteca di San Gallo. Il proprietario ha avuto dubbi sull'autenticità del vino, «lo ha degustato e la qualità è risultata inferiore». Quella che sembrava «la vendita di qualche bottiglia contraffatta» è presto diventata «un’inchiesta con strade tortuose con risvolti internazionali». La stessa ha «evidenziato come le persone presenti sono legate da rapporti personali o di conoscenza e hanno deciso di partecipare ad atti illeciti e ottenere soldi facili grazie alla vendita di prodotti contraffatti». Nel corso di un anno e mezzo sono state circa 75mila le bottiglie contraffatte messe sul mercato.
Rigamonti ha poi passato in rassegna i singoli imputati, partendo dai primi due arrestati che, per motivi di salute, sono stati dispensati dalla presenza in aula. A partire dal 69enne cittadino svizzero, per il quale sono stati proposti 4 anni di detenzione, «il fulcro centrale della storia, l’unico che ha avuto rapporto con tutti gli altri imputati» che «sapeva che il vino che gli veniva venduto era contraffatto». Vino che gli veniva consegnato da due persone «a lui sconosciute» sul piazzale della stazione di Taverne, veniva pagato in contanti e senza ricevuta. «Se l'operazione fosse lecita, avrebbe accettato condizioni di questo tipo? Poteva voler dire che era nel suo interesse ottenere questo vino che gli avrebbe permesso di fare dei guadagni comunque considerevoli». Le bottiglie «sembrano autentiche, nemmeno all'occhio attento la falsificazione emerge chiaramente. Non si può pretendere che un commerciante faccia controlli approfonditi, deve potersi fidare». Come indicato dal responsabile di una cantina sentito a verbale, «il vino era fatto molto bene: era buono ma banale». L'attenzione è poi passata al 64enne ticinese, amministratore unico della società che ha venduto il vino contraffatto, per il quale sono stati proposti 2 anni e 4 mesi di detenzione (senza opposizione a una sospensione parziale della pena). «Non è il promotore della truffa – ha sottolineato l'accusa – ma nemmeno colui che subisce e basta: partecipa attivamente proponendo e consegnando il vino ai clienti, almeno in un caso da solo. Quale miglior garanzia per i clienti se a proporre il vino è proprio il gerente della società? Accetta che la sua società venda vino contraffatto, partecipa alla vendita, non effettua nessuna verifica e non considera le lamentele dei clienti, anche dopo che sul Blick è comparso un articolo sul come riconoscere le bottiglie non originali».
L'attenzione è poi passata ai tre imputati presenti in aula. Il 55enne cittadino italiano, domiciliato nel Luganese, ha ammesso di aver partecipato alle vendite. Per lui la proposta di pena è stata di 2 anni e 8 mesi di carcere (senza opposizione a una sospensione parziale). «Per un periodo sufficientemente lungo ha cercato di chiamarsi fuori, poi bene o male si è assunto le sue responsabilità – ha aggiunto Rigamonti –. Come tutti sapeva dall’inizio che il vino era contraffatto, ha partecipato a incontri in cui si parlava di vino parallelo, inteso come falso». Compito dell'imputato era quello del packaging. «Ha intrattenuto i rapporti per la creazione delle capsule, si è recato nelle tipografie per veline ed etichette ed è andato pure in Tunisia per bottiglie con il marchio e la produzione di altri vini contraffatti. Poco cambia se ha mai avuto contatti con gli acquirenti: ognuno aveva il suo ruolo». Il ruolo del figlio 29enne, accusato di complicità in truffa e per il quale la proposta di pena è di 12 mesi sospesi, è stato quello di «ausiliario: dava una mano al papà e lui stesso dice che è difficile dire no al papà. Il suo contributo come complice ha reso possibile fare alcune cose: su un computer sequestrato è stato trovato un vademecum della contraffazione». Il 69enne svizzero si è invece «da subito dichiarato estraneo a ogni responsabilità penale, ma sono in quattro a coinvolgerlo. E lo fanno quando sono in detenzione e hanno contatto solo con i loro difensori e non possono essersi messi d’accordo». Per l'accusa si tratta di «dichiarazioni vere. Ha partecipato attivamente alla vendita del vino contraffatto perché gli incontri dove si è parlato di vino parallelo avvenivano nel suo ufficio». Per lui l'accusa ha proposto una condanna a tre anni di carcere (senza opposizione a una sospensione parziale) e a una multa di 500 franchi.