La società tedesca di oncologia Dkg ha attestato la qualità delle cure alla Clinica Moncucco. La testimonianza di una paziente del Centro.
«Quando si sente la parola tumore si cade a terra». Silvana ha 82 anni e alcuni mesi fa le è stato diagnosticato un cancro al colon. Dopo tre interventi ora è stata dichiarata guarita. «Quando si è ammalati si pensa a stare bene subito, invece bisogna aspettare un po’, avere pazienza». Ogni percorso è diverso, ma bisogna considerare che «le patologie oncologiche sono croniche», spiega il dottor Olivier Gié, specialista in chirurgia viscerale. «Una volta terminata la terapia, bisognerà continuare a fare dei controlli. Per questo è molto importante poter fare affidamento su una struttura che comprende vari professionisti». Da agosto il Centro per la cura dei tumori colorettali della Clinica Moncucco ha ottenuto la certificazione da parte della società tedesca di oncologia Deutsche Krebsgesellschaft (Dkg). «Facciamo una presa a carico globale del paziente, a partire dalla diagnosi, alla cura e al processo seguente», indica il dottor Piercarlo Saletti, direttore medico del Centro e specialista in oncologia e medicina interna generale. «Continuiamo a occuparci dei pazienti anche una volta guariti e seguiamo dei programmi di sorveglianza rigorosi». Questo implica il lavoro in rete di varie figure «che non sono solo gli oncologi, i chirurghi, gli infermieri, ma anche fisioterapisti, dietisti, stomaterapisti e molti altri», ricorda Saletti.
«Il tumore dell’intestino è il terzo più frequente nella nostra popolazione», riferisce il direttore medico. Fortunatamente «la maggior parte dei pazienti riesce a guarire, ma l’impatto di questa malattia è molto importante per il paziente e chi gli sta accanto». Avere un centro che si occupi dei vari aspetti della patologia può essere un buon modo per creare meno stress in chi si trova ad affrontarla. «Lo stress è uno dei fattori di rischio principali per la comparsa di complicazioni in ambito chirurgico», precisa il dottor Gié. «Per questo è importante avere contatti stretti con i partner, che ci permettono di preparare il paziente alla terapia, anche a livello fisico».
Scoprire di essere malati è un duro colpo a livello emotivo: «All’inizio ero disperata, molto nervosa, piangevo tanto», ci racconta Silvana che aveva già avuto un passato oncologico. All’ultimo intervento è stata sottoposta alcune settimane fa, alcuni disturbi legati all’operazione sono ancora presenti, però non si perde d’animo: «Ho già passato di peggio. Se si va incontro alla guarigione si sopporta anche quello che c’è di brutto, il dolore, il bruciore». Per sostenere i pazienti da un punto di vista psicologico, la clinica lavora in associazione con la Lega cancro, dove degli psicologi specializzati in problematiche oncologiche seguono chi è affetto da queste malattie, spiega il dottor Gié. Le preoccupazioni sono grandi e la più presente è legata alle chance di guarigione, ci dice il dottor Saletti: «Purtroppo circa il 25% dei pazienti che si presenta con un tumore all’intestino è in uno stadio avanzato, ovvero con metastasi. Di questi, circa il 10% guarisce». Anche le cure spaventano: «Possono essere complesse, di tipo chirurgico, chemioterapiche, radioterapiche». La chirurgia è un aspetto importante nel trattamento del tumore all’intestino: «Circa il 90% dei pazienti viene operato», precisa Gié. Le cure che accompagnano questa malattia hanno un impatto sulla vita di ogni giorno: «Se è vero che la maggior parte delle persone colpite sono anziane, abbiamo anche cinquantenni, sessantenni, che sono ancora in piena attività», descrive Saletti. «Dunque questo ha ripercussioni, oltre che in ambito familiare e relazionale, sulla vita professionale». Oltre a ciò, Gié aggiunge che a volte i pazienti presentano problemi sociali: «Il Centro offre anche un’assistenza di questo genere per aiutare, per esempio, con le pratiche amministrative».
«L’età media dei pazienti ha tendenza a scendere sempre di più, ma in ogni caso si tratta spesso di anziani che presentano anche altre patologie annesse», afferma il dottor Gié. Disturbi che a volte le persone non sanno nemmeno di avere e che si scoprono durante gli esami di preparazione per l’intervento, come nel caso di Silvana, a cui è stato trovato un problema al cuore: «Situazioni come queste implicano un bilancio complesso. Bisogna capire quale problema affrontare prima», prosegue lo specialista. Per questo motivo il lavoro in team è fondamentale: «Ogni settimana noi specialisti ci riuniamo per discutere dei vari casi e decidere, in base agli esami effettuati, se il paziente è pronto per lo step successivo». La certificazione ottenuta testimonia anche questo lavoro che, ricorda il dottor Saletti, «si attiene alle linee guida internazionali», in quanto «l’improvvisazione nella cura delle malattie non è buona cosa». La standardizzazione delle prese a carico è un aspetto importante: «In genere gli errori medici sono legati a problemi di comunicazione», afferma il dottor Gié. Per prepararsi alla certificazione sono stati impiegati due anni e la commissione della società tedesca di oncologia ha visitato il Centro a maggio. Centralizzare i vari aspetti della cura, inoltre «permette di ridurre i costi sanitari», afferma Saletti. Si tratta infatti di terapie molto onerose. «Viene dato il giusto peso alle procedure evitando quelle che non è utile fare».
Come ogni tumore, anche quello all’intestino spaventa, ma grazie alla colonscopia è possibile non solo individuarlo precocemente, ma proprio prevenirlo. È infatti possibile identificare la presenza di adenomi, comunemente chiamati ‘polipi’. «La maggior parte di questi hanno la propensione a diventare dei tumori maligni», spiega il dottor Saletti. Rimuovendoli, dunque, si può diminuire drasticamente il rischio di contrarre la malattia. A partire dai 45 o 50 anni, è dunque consigliato effettuare il controllo.
«Il Cantone dovrebbe lanciare a breve un programma aggiornato di screening cantonale», indica il dottor Gié. Per il momento in Ticino viene coperta la ricerca di sangue occulto nelle feci, che può indicare la presenza di tumori. L’esame andrebbe però fatto ogni anno, spiega il chirurgo, mentre la colonscopia, se non presenta elementi sospetti, è sufficiente effettuarla ogni dieci anni. A meno che, spiega Saletti, non vi siano delle «patologie genetiche ereditarie che fanno sì che lo sviluppo di un tumore maligno sia più veloce». L’anamnesi familiare dunque è aspetto importante da considerare, che può mettere in evidenza dei fattori di rischio, ricorda anche il dottor Gié.