Giudicata guarita fa un secondo test che non riporta la negatività. Il farmacista cantonale: "Quel test non essendo richiesto non doveva nemmeno essere fatto"
Un po' di febbre, tosse, mal di testa, improvvisi dolori muscolari e il pensiero che va subito lì, al virus che da inizio anno ha paralizzato un intero pianeta. La testimonianza che raccogliamo oggi è quella di un'insegnante luganese, colpita dal coronavirus. A confermare il contagio, avvenuto nelle scorse settimane, un primo tampone risultato positivo. Da qui la necessaria quarantena e lo stop alle lezioni in classe. Dieci giorni necessari per tornare a stare bene e, su indicazione dell'Ufficio del medico cantonale, per tornare alla propria quotidianità fatta di correzioni di 'espe' e interrogazioni. Tutto qui? Non proprio. La prof, attenta ai pericoli della pandemia, ha infatti preferito essere certa della negatività acquisita e sottoporsi, privatamente, a un secondo test. Test che però ha dato ancora esito positivo: «Mi creda, mi sono preoccupata, e ho continuato a restare in isolamento».
Quando ci sentiamo al telefono la sua voce mostra ancora preoccupazione e un certo disorientamento: «Ma se non avessi fatto il test e fossi tornata a scuola, essendo ancora positiva, avrei potuto essere un serio pericolo di trasmissione del Covid-19 per gli studenti e a loro volta per le loro famiglie?». Una domanda alla quale da giornalisti non possiamo, né vogliamo rispondere. Stesse preoccupazioni le ascoltiamo da un'altra persona, un papà di un ragazzo portatore di andicap, e dunque fra le categorie fragili, che una volta terminata la quarantena ha preferito continuare a non incontrare il figlio non avendo la conferma, quantomeno 'psicologica', di esserne del tutto guarito. Nessun test, infatti, anche per lui di 'uscita' dalla positività, come invece è obbligatorio, per esempio, in Italia o in altri Stati europei.
Interrogativi pertinenti, considerato che in pochi mesi si è passati dal no mascherina-sì mascherina, no lockdown-sì lockdown, no seconda ondata-sì seconda ondata. Così abbiamo girato la questione al farmacista cantonale, il dottor Giovan Maria Zanini: «In Svizzera l'isolamento termina dopo dieci giorni di cui gli ultimi due devono essere senza sintomi. Dopo questo lasso di tempo si può tornare ad uscire di casa senza sottoporsi a un nuovo test. La persistenza di un tampone positivo non è correlata all’infettività: il test può rilevare materiale virale incapace di replicarsi senza che ciò comporti un rischio di trasmissione. Per questo motivo l’Ufficio federale della sanità pubblica non raccomanda di effettuare test al termine di un isolamento. Il rischio residuo di contagio dopo oltre 10 giorni di isolamento e con scomparsa dei sintomi da oltre 48 ore è considerato molto esiguo. Quel test, dunque, non essendo richiesto non doveva nemmeno essere fatto. I medici sono stati ripetutamente informati a questo proposito. C'erano tutti i presupposti per non preoccupare inutilmente o sollevare interrogativi già sciolti dalle indicazioni federali. Se ci si è sottoposti all'isolamento e non si hanno più sintomi da almeno due giorni non serve, quindi, risultare negativo nel tampone per essere considerato guarito».
Considerazione che ritroviamo anche nella risposta che sollecitiamo al medico cantonale, il dottor Giorgio Merlani: «L’Ufficio federale della sanità pubblica non raccomanda di testare una persona alla fine di un periodo di isolamento effettuato in seguito a una Covid-19 o a sintomi compatibili con questa malattia. In effetti, è possibile che il test Pcr (rilevamento dell’Rna virale) sia positivo per un certo periodo di tempo dopo la scomparsa dei sintomi. Tuttavia, il rischio residuo di trasmissione dopo dieci giorni o più di isolamento e la scomparsa dei sintomi da 48 ore o più è ritenuto molto debole. Al termine dell’isolamento, si raccomanda alla persona di continuare a rispettare le regole di igiene e di comportamento, come per il resto della popolazione».