Luganese

Adescava ragazzini sui social: 27enne a processo a Lugano

L'uomo, recidivo, è accusato di atti sessuali con minori di 16 anni, conosciuti sulle chat e che talvolta sarebbero stati pagati per le prestazioni.

I contatti con gli adolescenti avvenivano sui social network (Foto Keystone)
14 ottobre 2020
|

Massaggi in zone intime, palpeggiamenti, sesso orale. Avrebbe consumato atti sessuali di diverso genere con almeno sette minori di 16 anni il 27enne a processo alle Assise criminali di Lugano. Oltre a questo reato principale, l'imputato è accusato dal procuratore pubblico Arturo Garzoni di atti sessuali con persone incapaci di discernimento, pornografia e ripetuti atti sessuali con minorenni contro rimunerazione, dato che talvolta gli adolescenti venivano pagati o promessi loro soldi. Incontri che spesso venivano conditi dal consumo di droghe varie: marijuana, hashish, cocaina, lo sciroppo per la tosse Makatussin (utilizzato per sballarsi). Il 27enne è pertanto accusato anche di infrazione, complicità in infrazione e contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti. Completano l'impianto accusatorio i reati di guida senza autorizzazione e complicità in falso certificato medico.

Contatti su Facebook, Snapchat, Whatsapp

Facebook, Snapchat, Whatsapp. Questi alcuni dei social network utilizzati dall'imputato – uno svizzero residente nel Luganese – per entrare in contatti con le giovani presunte vittime: adolescenti nati fra il 2001 e il 2004, che all'epoca dei fatti avevano meno di 16 anni in quanto si sarebbero svolti fra la fine del 2018 e l'autunno del 2019. Ai giovanissimi, in cambio di denaro o oggetti alla moda, venivano proposti messaggi, che a dire dell'imputato sarebbero serviti per la propria formazione professionale, ma che in realtà sarebbero serviti come esca per i successivi atti sessuali.

Già condannato nel 2015 per gli stessi reati

Il 27enne – dall'avvocato Niccolò Giovanettina – non è purtroppo nuovo alle cronache giudiziarie: già nel luglio del 2015 è stato condannato per reati simili a tre anni e quattro mesi, venendo scarcercato nel 2017. A condannarlo allora una Corte presieduta, come oggi, dal giudice Amos Pagnamenta. In entrata di procedimento, l'imputato ha espresso il rammarico per quanto fatto spiegando che «sto comprendendo la gravità del reato, il dolore che ho causato», grazie al percorso che sta seguendo con la psicologa, rifiutando quindi il trattamento stazionario proposto, anche sulle basi del rischio di recidiva ipotizzato dalla perizia psichiatrica.