Il sindacato denuncia il fenomeno dei fallimenti a catena, chiedendo di valutare la revoca dell'autorizzazione all'agenzia privata di sicurezza di Barbengo
Due fallimenti e tre società attive nello stesso ambito – quello della sicurezza –, con a capo le stesse persone. Ed entrambe le volte che sono stati depositati i bilanci, gli oneri sociali sono rimasti a carico della collettività. Questo in estrema sintesi il quadro che ha fatto storcere il naso a Unia. A tal punto, che il sindacato ha chiesto all’autorità cantonale di valutare la revoca dell’autorizzazione a esercitare alla terza società del filone: la Maba Sicurezza Sagl, con sede a Barbengo. «È il fenomeno dei fallimenti a catena che abbiamo già denunciato in altri settori» valuta il sindacalista Giangiorgio Gargantini, facendo riferimento ad esempio all’edilizia. L’ultimo dei casi emersi riguarda la banchina di riva Vela a Lugano.
Registro di commercio alla mano, la Sky Sentinel Sa di Lugano è fallita nel novembre 2012. La maggior parte dei dipendenti tuttavia non ha interrotto il proprio servizio, ma ha semplicemente ‘cambiato casacca’, passando alla Maba M Group Sagl. La sede? Stesso numero civico e stessa via della Sky Sentinel. L’amministratore unico di quest’ultima è il presidente della gerenza della Maba Group. Un avvocato che – come anche una donna presente pure nella terza società, la Maba Sicurezza – ha e ha avuto diritto di firma individuale in tutte le aziende. La Maba Group a sua volta è fallita nel marzo del 2019, creando un buco di circa 430’000 franchi. Per oltre 100’000 di questi, a seguito di una vertenza avviata da Unia, è stata condannata al pagamento per inadempienze relative al contratto collettivo di lavoro. Spettanze salariali, ma non solo. Soldi che di fatto non ha dovuto rimborsare a causa del dissesto finanziario. Infine, oggi esiste la Maba Sicurezza Sagl: fondata nel febbraio del 2015, conta circa una trentina di dipendenti.
«Abbiamo fatto la segnalazione, chiedendo di prendere provvedimenti, in applicazione dell’articolo 9 della Lapis, perché crediamo ci sia il margine per revocare l’autorizzazione – spiega Gargantini –. Di fatto però loro continuano ad aggiudicarsi appalti (anche pubblici, ndr)». E anche noi abbiamo provato a sentire il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata della Polizia cantonale: l’autorità di vigilanza sui privati che avviano attività di investigazione e sorveglianza.“Tenendo conto del segreto istruttorio e delle normative relative alla protezione dei dati e della sfera privata”, la polizia non si esprime però su singoli casi. Lo farebbe unicamente “di fronte a un interesse pubblico preponderante”, qui evidentemente non riconosciuto. Di avviso diverso Unia, che si è attivata nella procedura di consultazione per la nuova Legge sulle prestazioni private di sicurezza (Lpps).
Non solo agenzie private di sicurezza. L’irregolarità nella procedura di subappalto per la costruzione della banchina di riva Vela a Lugano è stata scoperta e segnalata dal sindacato Unia proprio grazie a sospetti legati al sistema dei fallimenti a catena nel settore edilizio. Per l’opera, ricordiamo, il Municipio aveva affidato un mandato diretto di costruzione da 230’000 franchi a uno studio d’architettura esterno. Quest’ultimo ha poi promosso tre procedure a invito per la falegnameria, la metalcostruzione e i lavori edili speciali. Col via libera della Città, è stata scelta l’offerta meno costosa: quella della Franco Dell’Oro Sa. Una ditta conosciuta però prevalentemente per l’arredamento d’interni di bar e ristoranti, tanto che a costruire la banchina è stata un’altra società: la Edil Global Service (Egs). Il titolare di quest’ultima – e questo ha fatto rizzare le antenne al sindacato – era a capo di un’altra ditta sempre attiva nell’edilizia. Si tratta della Ringhio Sa, fallita nel maggio del 2018 lasciando dietro di sé un buco stimato fra i 600’000 e il milione di franchi. E come se non bastasse, anche la Egs è fallita pochi mesi fa, con uno scoperto che per Unia si aggira attorno a 1,3 milioni di franchi.
E sul tema della banchina – portato in Procura dal sindacato –, l’esecutivo ha recentemente risposto anche a un’interrogazione di diversi consiglieri comunali della Sinistra (primo firmatario: il comunista Edoardo Cappelletti). Fra l’altro, come anticipato dalla ‘Regione’ (cfr. edizione del 4 ottobre), il Municipio ha deciso di intensificare i controlli su gestione tecnica e verifica procedurale di progetti tecnici, anche di entità relativamente contenuta come in questo caso.
Una legge che sia «più restrittiva di quella attuale». A fare ordine nell’intricato mondo delle agenzie private di sicurezza – stando al Dipartimento delle istituzioni (Di) sono circa un centinaio in Ticino – ci penseranno presto delle nuove normative: la Legge sulle prestazioni private di sicurezza (Lpps). Prenderà il posto dell’attuale Lapis (Legge cantonale sulle attività private di investigazione e di sorveglianza), in vigore dal 1976. A maggio il dipartimento di Norman Gobbi ha presentato il progetto di legge, messo poi in consultazione.
Anche sulla scia del caso Argo 1 e delle raccomandazioni della relativa commissione parlamentare d’inchiesta, ha infatti proposto una revisione integrale del testo legislativo. Fra gli altri aspetti, sarà rafforzata la formazione degli agenti e dei responsabili delle agenzie, sarà reso più efficace il regime autorizzativo e aggiornato l’elenco delle attività che necessitano dell’avallo cantonale.
«La consultazione si è chiusa il 15 agosto – spiega il sindacalista Giangiorgio Gargantini –. Noi siamo intervenuti nella procedura, chiedendo in particolare che gli aspetti relativi alle autorizzazioni, a eventuali buchi o crediti salariali, siano riconosciuti come ragione per non autorizzare una ditta o una persona individuale a esercitare come responsabile della società. Traendo spunto da esempi come quello della Maba, vorremmo quindi che la legge fosse più restrittiva». Unia in particolare ha chiesto che fra i requisiti per essere autorizzati a operare come agenzia privata di sicurezza ve ne sia uno secondo il quale la ditta – o la persona che ambisce a dirigerla –non abbia debiti pregressi con assicurazioni sociali e fisco.
In attesa del messaggio, il sindacato è comunque convinto che già la Lapis permetta di agire su questo fronte. «Oggi, il dipartimento può revocare l’autorizzazione se il titolare non adempie alle condizioni previste e fra queste c’è la dichiarazione dell’Ufficio esecuzione fallimenti che comprovi l’esistenza o meno di attestati di carenza beni. Quindi chi è reduce da due fallimenti ma lavora ancora rientrerebbe già in questa casistica».