Abbiamo incontrato Khaleda, la 35enne afghana che grazie alla decisione del Taf (che ha sconfessato la Sem) potrà rimanere in Ticino con la sua bimba
«Gli occhi e l’espressione di mia figlia sono cambiati negli ultimi due giorni, il suo corpo parla ed esprime una felicità pura e decisamente più “leggera”, quella che ogni bambino dovrebbe poter assaporare ma che fino a oggi lei aveva solo potuto immaginare».
C’è tutto l’amore di una mamma che ha lottato per dare alla sua bambina un futuro migliore e la soddisfazione per avercela fatta, ma anche la sofferenza di un percorso infinitamente e ingiustamente doloroso, nelle parole di Khaleda. Una contrapposizione di emozioni che durante il suo racconto, mentre la guardiamo negli occhi, un po’ ci arriva al cuore, un po’ ci colpisce allo stomaco, e alla fine ci rimane dentro.
La incontriamo a Locarno, a meno di ventiquattro ore dalla notizia che la 35enne afghana attendeva ormai da poco più di due anni, ossia da quando alla vigilia del Natale 2022 aveva depositato, tramite l’avvocato Paolo Bernasconi, il ricorso contro la decisione della Segreteria di Stato della migrazione (Sem) di negare per la seconda volta a lei e a sua figlia S. (nome noto alla redazione) il diritto d’asilo in Svizzera, rimandandole, come già capitato nel maggio di quello stesso anno, in Slovenia (da dove erano poi tornate in Ticino dopo l’estate). Il ricorso al Tribunale amministrativo federale (Taf) aveva permesso a mamma e figlia di rimanere, in attesa di una decisione, in Verzasca, valle che le ha accolte a braccia aperte e dove si sono subito fatte voler bene, come dimostrano anche le quasi tremila firme allegate al ricorso. E dove potranno infine rimanere, visto che con sentenza (inappellabile) del 28 novembre, ma comunicata alle parti lunedì, il Taf ha in sostanza invitato la Sem ad accogliere la richiesta di asilo di Khaleda e di sua figlia, che oggi ha dieci anni, ha imparato l’italiano e frequenta con ottimi risultati sia scolastici sia di integrazione la quarta elementare a Brione Verzasca (fattori questi ultimi che hanno avuto un peso importante nella decisione del Taf).
«A dieci anni S. non è più così piccola, è sveglia e capisce tutto, per cui sapeva bene qual era la nostra situazione, ne soffriva e mi chiedeva aggiornamenti – ci racconta ancora Khaleda, esprimendosi già in un buon italiano –. Io le dicevo che non sapevo niente, che dovevamo aspettare una decisione delle autorità competenti e lei quindi ha deciso di scrivere loro una lettera nella quale ha spiegato quanto stiamo bene qui. Ogni giorno mi chiedeva se avevano risposto e quando ieri le ho comunicato la bella notizia, era felice ma anche orgogliosa, è convinta che la nostra domanda sia stata accettata grazie alla sua lettera».
Khaleda però sa bene che dietro al “miracolo” di questo Natale, c’è molto di più… «Non finirò mai di ringraziare tutte le persone che ci hanno aiutato, l’avvocato Bernasconi per il ricorso, ha fatto un grandissimo lavoro, ma anche tutti coloro che in Verzasca (e non solo) ci sono stati vicini in svariati modi, accogliendoci e facendoci sentire a casa. È anche grazie a loro che sono riuscita ad andare avanti in questi due anni di attesa».
Sì perché di fronte a noi come detto c’è una donna combattuta tra la gioia del momento e le ferite dell’odissea vissuta tenendo per mano la sua bimba, dall’inizio (oltre sette anni or sono) della drammatica fuga dal regime afghano (e da un marito violento) attraverso Medio Oriente, Balcani ed Europa, fino agli ultimi 24 mesi di «attesa straziante. Solo chi ci è passato sa cosa vuol dire affrontare un percorso del genere, più volte ho pensato che non volevo più vivere, di non farcela, ma poi ho sempre trovato la forza di rialzarmi e di continuare a lottare per mia figlia. Volevo darle un futuro migliore e qui è il posto giusto, perché a differenza di quanto succede in Afghanistan, qui le persone possono crescere libere e diventare quello che desiderano».
Adesso che Khaleda sa di essere riuscita ad assicurare questa possibilità a sua figlia, può tornare a pensare anche a sé stessa. Anzi, può forse farlo per la prima volta nella sua vita… «È così, adesso sento che esistiamo, che anche io esisto. È come se fossi rinata e ho voglia di scoprire e fare tante cose nuove». Ad esempio giocare a pallavolo (come la figlia)… «È un’attività, come anche altre, che mi permette di svuotare la mente e dimenticare tutto quello che ho vissuto almeno per qualche minuto», conclude un po’ imbarazzata, un po’ felice, un po’ triste. E noi con lei.
Tra le persone che sono state più vicine a Khaleda e a S. in questi quasi tre anni passati in Valle Verzasca, Valentina Matasci… «Quando mi hanno chiamato ieri mattina per comunicarmi la bella notizia, non riuscivo a crederci, anche perché non è un tipo di sentenza che si vede spesso – ci confida la verzaschese, fra le promotrici della raccolta firme che ha dato “forza” alla domanda d’asilo –. Conoscendo la loro storia, quello che hanno passato per arrivare qui e anche le vicissitudini affrontate in Svizzera, con il primo allontanamento dal Paese e una situazione di vitto e alloggio non proprio ideale (tramite la Croce Rossa sono ospitate alla pensione Froda di Gerra Verzasca, ma proprio in questi giorni si è iniziato a cercare un appartamento, ndr), apprendere la decisione del tribunale è stata davvero un’emozione forte».
Seppur in modo diverso, come Khaleda anche la ticinese prova sentimenti contrastanti… «Adesso siamo tutti felici, ma è stata dura e a me resta anche un po’ di amarezza e di rabbia, perché le cose sarebbero potute – e in generale in queste situazioni potrebbero – andare diversamente. Sinceramente questo sistema che tratta le persone come numeri mi fa un po’ schifo, anche in questi tre anni in Svizzera non hanno mai potuto avere una vita e una quotidianità “normali”. Per fortuna con la decisione del tribunale possono finalmente voltare pagina e credo che ieri sera per la prima volta da almeno dieci anni, Ana (come viene anche chiamata Khaleda) è potuta andare a dormire tranquilla».
Matasci tiene anche a sottolineare «la forza di volontà incredibile di Ana, che nonostante tutto (in particolare uno statuto che la teneva in una sorta di limbo impedendole di trovarsi un lavoro) si è integrata benissimo, ha imparato l’italiano senza seguire corsi ufficiali e si è data da fare in mille modi, ad esempio mettendosi a disposizione per lavori di sartoria. Si merita proprio di lasciarsi il passato alle spalle».
Integrazione che non è assolutamente stata un problema neanche per S., che frequenta la pluriclasse (terza, quarta e quinta elementare) delle scuole elementari di Brione Verzasca e che potrà quindi continuare a farlo… «Era la risposta che aspettavamo e anche se si è fatta attendere un pochino, finalmente è arrivata – afferma la docente Bianca Soldati riferendosi alla decisione del Taf –. Praticamente sin da subito S. è stata in grado di svolgere le attività come tutti gli altri bambini e adesso parla anche l’italiano in modo fluido, è ben integrata nella classe e ha iniziato a praticare uno sport qui in valle e a Gordola».
Quanto alla reazione della classe alla bella notizia, Soldati sottolinea come «per gli altri allievi S. è sempre stata una compagna come tutti, è normale che lei ci sia, per cui non era necessario rimarcarla in maniera particolare. Stamattina ne abbiamo parlato tutti assieme, lei ha raccontato il suo viaggio dall’Afghanistan fino a qua e abbiamo evidenziato sulla cartina le nazioni che ha attraversato. Di sicuro è una classe molto unita e ha ricevuto un po’ in anticipo un bel regalo di Natale».
Il ruolo fondamentale della scuola per il lieto fine della vicenda è stato evidenziato nella sentenza del Tribunale amministrativo federale, che ha citato la scolarizzazione (così come il contesto affettivo e medico costruito intorno alla bimba) tra le motivazioni che rendono “non giudizioso disporre un trasferimento delle ricorrenti, avuto soprattutto riguardo alla ricorrente di giovane età”… «Non a caso abbiamo cercato di inserirla a scuola il prima possibile – sottolinea la direttrice delle Scuole comunali di Gordola (sotto il cui cappello rientra anche la sede di Brione) Morena Bellanca –. Abbiamo inoltre attivato tutte le risorse possibili, come la docente di lingua e integrazione, e regolarmente ho redatto per gli enti preposti dei rapporti nei quali ho rimarcato innanzitutto il successo scolastico di S. (che ha una facilità di apprendimento incredibile), ma anche come sia lei, sia la mamma siano riuscite a farsi voler bene dalla comunità. Sono due persone squisite e siamo felicissimi che possano rimanere con noi».