Per l’ex sanatorio in stato di abbandono un progetto di Gabriel Bertossa, ‘architetto senza frontiere’ grigionese trapiantato in Francia
Un “Villaggio Bacciarini” in onore del fondatore, monsignor Aurelio Bacciarini, che vi creò il sanatorio per piccoli malati di tubercolosi. L’obiettivo: «Salvare un territorio che non può rimanere nel limbo, come da troppo tempo accade, ma dev’essere abitato in quanto luogo prezioso e privilegiato». Il pensiero è quello di Gabriel Bertossa, architetto di origini grigionesi ma residente da quasi 30 anni a Parigi. Letto, sulla ‘Regione’, del perdurante stato di abbandono dell’ex sanatorio, Bertossa ricorda di essersi occupato anche di Medoscio e di aver pensato, per ripopolare la zona collinare sopra il Piano di Magadino, «ad un albergo diffuso», ma anche «a una cittadina del cinema di Locarno, con sale di ripresa, studi fotografici e cinematografici, residenza d’artisti e Scuola di cinema».
Pura utopia? «Forse – risponde Bertossa –, ma non è questo il problema. Mi piace definirmi “architetto senza frontiere”. Non voglio e non posso attendere che un committente mi chiami: è necessario proporsi, farsi conoscere e avanzare un’idea, dare uno spunto. Io lo faccio, gratuitamente, rimanendo fedele a me stesso, riflettendo sul presente, il passato e un possibile futuro dei luoghi. Spesso le mie proposte alle autorità locali – il presidente, il ministro, il sindaco o chiunque altro sia riconducibile ad un indirizzo – sono lettere senza risposta, ma talvolta arrivano invece graditi “feedback”, come ad esempio quello del ministro Claudio Zali, al quale avevo proposto di realizzare nel Lago Ceresio tre involucri di cemento armato da riempire con il materiale di scavo della galleria di base del San Gottardo per farne tre cenotaffi simbolici protetti, raggiungibili solo dagli uccelli. Zali aveva dato seguito, a due riprese, comunicandomi infine che per questioni di protezione delle acque lacustri non c’erano margini di intervento. Ma almeno aveva dimostrato di interessarsene, e questo mi aveva fatto un grande piacere».
Utopie, dunque? Non più di altre visioni che caratterizzano il lavoro di Bertossa, progetti di “Artbanistique”, come la definisce lui, che si vogliono «propositivi per luoghi abbandonati, dimenticati o in via di demolizione. Come il pittore dipinge liberamente la sua tela, io mi invento il mio progetto attraverso una lettura del territorio e dell’oggetto, e considerando la sua storia». Si tratta, aggiunge, di «progetti liberi, senza nessuna norma di pianificazione. Semplicemente, utilizzando il buonsenso, cerco di dare forma alla mia idea di architettura».
Su queste basi «sono un centinaio – dice – i miei progetti proposti al mondo. Sempre in Ticino avevo immaginato un bosco che “rivestisse” la brutta zona dell’uscita autostradale di Lugano Sud fino alla zona del lago. Al compianto sindaco Borradori l’idea era piaciuta e mi aveva passato un contatto utile, dove però mi avevano dato un po’ il menavia… Ma avevo lavorato anche sulla riorganizzazione della città di Mariupol, in Ucraina, dopo il bombardamento del 2022; o, ancora, sulla ricostruzione di Raqqa, in Siria, distrutta nel 2017». Altri suoi progetti sono «un porto sommerso per Beirut, in Libano, per preservare la spiaggia, che pur nello sfacelo del dopo esplosione dell’agosto 2020 rimane comunque la zona più bella della città; la realizzazione di due città alpine tra Roveredo e Gravedona, servite da una funivia; a Parigi il recupero di un immenso supermercato abbandonato che diventa museo dei graffiti e dell’arte urbana».
Li si può appunto definire utopici, considera, ma «sono tutti progetti per stimolare una reazione urbana, politica e di investimento, e che interrogano e aprono a un dialogo». Come quello che in effetti si era aperto, proprio a Parigi, attorno a un ulteriore stimolo di Bertossa: quello riguardante la realizzazione di una galleria d’arte urbana nel “tunnel des Tuilerie”, passaggio pedonale di 860 metri lungo la passeggiata sulla Senna, all’altezza del Louvre. In quel caso la Ville Lumière aveva deciso di concretizzare, iniziando da un’esposizione internazionale di “street art” conclusasi nello scorso mese di luglio.
Poi, come accennato, è arrivato Medoscio: «Non mi pareva giusto che quel luogo magnifico dovesse rimanere abbandonato. Con tutto il parlare di riciclo, di ecologia e di protezione del territorio, è inammissibile che un villaggio “servito” in centro Ticino, a due passi da Locarno e a tre da Bellinzona, venga lasciato lì così». Per quel luogo ha pensato a 100 appartamenti “per salvare il territorio”, come viene descritto nella documentazione inviata tempo fa alla società proprietaria del terreno. «E ho anche pensato a una funivia che colleghi Medoscio al Piano di Magadino. Il tutto, in onore del vescovo Aurelio Bacciarini, che negli anni 30 aveva realizzato una struttura per la cura del corpo e dell’anima, che dal ’94 è preda di degrado e abbandono».
Se l’ennesimo progetto utopistico avrà un seguito, bene. Se no… «pazienza – conclude Bertossa –. Per chi ha il mio approccio alla vita l’importante non è guadagnare in soldi: lo è guadagnare in cultura, in piacere, in soddisfazione. A questa filosofia si allaccia anche la mia architettura. La definisco “Artbanistique” perché per praticarla non basta essere architetto, ma bisogna essere anche fotografo, urbanista, scultore…». Un “Anarchitetto”, per l’appunto.