Locarnese

‘Carlo Speziali mi disse: non deludere, Locarno sa essere dura’

Nel commiato dal Festival di Marco Solari 50 anni di aneddoti e una carrellata sui sindaci che lo hanno accompagnato lungo il percorso

La sua vita, i suoi ricordi
(Ti-Press/F. Agosta)
2 agosto 2023
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«Innamorato di Locarno». Marco Solari lo ha detto martedì sera nella sua allocuzione per la Festa nazionale con il tono di chi, nel grande orto delle esperienze, sa di aver seminato impegno e raccolto riconoscenza. Un’indole maturata fin da giovanissimo, dall’inizio degli anni 70, quando un giorno di gennaio, neppure 30enne, incontrò lo sguardo «severissimo» dell’allora sindaco Carlo Speziali: «Quando entrai nel suo ufficio mi disse: “Sei venuto ad abitare con moglie e figli qui, in via della Pace. Ricordati che Locarno non è una cittadina come le altre, qui devi guadagnarti la fiducia. Se vivi a Locarno devi dimostrare impegno per questa nostra città che gode di grande considerazione non solo in Svizzera, ma nel mondo. Non deludere, perché Locarno sa essere anche molto dura».

Un incontro formativo di straordinaria valenza simbolica, per il futuro presidente del Film Festival, l’uomo che nel mezzo secolo successivo avrebbe affrontato battaglie su vari fronti nella costante ricerca del consenso e con la pretesa, mai urlata, di regalare sogni alla sua terra d’adozione.

Poi, come sindaco, venne Diego Scacchi, «altro personaggio di altissimo valore, alfiere di un radicalismo molto sensibile nei confronti dei meno privilegiati e che influenzò fortemente il Partito liberale radicale di allora». Scacchi che «sempre ricordava, nei suoi discorsi, che “non c’è vera libertà senza solidarietà” e che “per alleviare le ingiustizie più acute bisogna inserire il grande capitolo dei diritti sociali in un unico catalogo dei diritti, insieme a quelli personali, perché solo se le due categorie di diritti hanno uguale valenza c’è vera giustizia”».

Marco Balerna e il bellissimo fiore

Ma è stato il Festival, il bambino che Solari ha forse accudito con più amore. E anche in quest’ambito fra le prime voci da ascoltare ci sono sempre state quelle dei sindaci, primi rappresentanti di una realtà perennemente contesa fra provincialismo e internazionalità: «Nel 2000, appena nominato presidente dopo il ritiro di Raimondo Rezzonico e la tragica morte di Giuseppe Buffi, ebbi da subito l’incondizionato appoggio di Marco Balerna. Nel primo incontro ufficiale disse una frase che era anche espressione del suo credo politico: “Per Locarno, il Festival Internazionale del Film è come il bellissimo fiore nato dalla sua storia di Città della Pace e della libertà che ne deriva, e che sempre, sempre va difesa. Il Festival sia dunque strumento, anzi arma, in questa difesa del concetto di libertà”».

Una libertà di sognare che la sindaca successiva, Carla Speziali, ha certamente condiviso con Solari sia negli anni di intensa collaborazione per e attorno al Festival (anche in qualità di vicepresidente della manifestazione) sia, e forse soprattutto, come coriacea artefice del Palacinema: «Parliamo ovviamente di qualcosa che è molto più che un edificio: è l’anima della vocazione di Locarno quale centro dell’audiovisivo. Se Carla, in una memorabile seduta della giuria per la scelta del futuro Palacinema, avesse ceduto alle sirene dei nomi di grandi “archistar”, dubito che la prudenza locarnese avrebbe permesso di passare indenne dall’inevitabile referendum – ha ricordato Solari –. Oggi il Palacinema c’è, e intorno al Festival si sviluppano le iniziative che danno e daranno a Locarno forza e prestigio nei decenni a venire».

Espressione di un legame diverso, forse più votato alle emozioni, sono infine le parole dedicate ad Alain Scherrer, «sindaco oltre che sindaco musicista e per me sindaco poeta, perché mai i suoi interventi pubblici, o quale membro del direttivo del Festival, sono banali». Interventi che traducono «amore e rigore con cui lo stesso Scherrer, tutto il suo Municipio e anche il segretario comunale Marco Gerosa difendono gli interessi e i valori di questa vostra eccezionale città». Ma meglio avrebbe fatto, certamente, a dire “nostra”.