L’intervista

Servir, aimer et disparaître (Marco Solari il giorno dopo)

Parafrasando il motto a lui caro, è stata anche una storia d’amore. Dopo 23 anni di onorata presidenza, l’era Solari si è chiusa: ‘Il futuro è limpido’

Marco Solari
(Keystone)
13 agosto 2023
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“Ho chiesto a Chat Gpt3 di dirmi se il pubblico di Locarno è speciale. L’intelligenza artificiale, per una volta intelligente ed emotiva, ha detto che quello di Locarno è un pubblico estremamente competente perché da sempre è vicino al cinema, è un pubblico probabilmente unico. M’inchino di fronte a Chat Gpt3. Sempre che sul vostro smartphone esca la stessa cosa…”.

Cosa Marco Solari pensi realmente dell’intelligenza artificiale è contenuto poco più in là in questo articolo. Di certo, non male il buffetto ai ‘robot’ verso la fine del suo discorso d’addio nella sua Piazza Grande, e prima della ‘Piazza Grande’ di Dalla, sulle cui note il presidente, insieme alla moglie Michela, si è infilato nel backstage con un cenno eloquente, più o meno riassumibile in “ok, può bastare”. Il giusto per un cultore del motto bernese “servir et disparaître”, cui ci siamo permessi di aggiungere ‘aimer’, perché i suoi 23 anni – la gente, non necessariamente i cinefili, gliel’ha fatto capire – sono stati anche una storia d’amore.

Chat Gpt si aggiunge ai saggisti bernesi e altri temi cari a Solari, che ieri in Piazza c’erano tutti: la sua squadra, voluta sul palco, quelli che lavorano dietro le quinte (22 inservienti della Città invitati in platea, “simbolo di tutti coloro che forse mai saliranno qui sopra, ma fanno un lavoro immenso dopo che il pubblico lascia la Piazza”), e la libertà del Festival, incarnata da quanto avvenuto durante la Cerimonia di premiazione: “Questa sera – ha detto Solari, riferendosi al Pardo d'oro iraniano – ho visto quanto sia importante avere un Festival che non solo sappia dare voce a chi non ce l’ha, ma anche protestare contro quei regimi che uccidono la libertà, che imprigionano e torturano gli artisti. Questo è un compito di un Festival, alzare la voce e la protesta. Il Pardo d’oro sia simbolo di denuncia contro la brutalità che si abbatte su chi crea, gli artisti, chi scrive, i giornalisti, sui creatori in generale. Questo è Locarno”.

Alla fine di tutto, con la moglie Michela tenuta per mano (“Ha dovuto subire le mie difficoltà, i silenzi, le ansie, le arrabbiature e le stanchezze, senza di lei nulla di questo sarebbe stato possibile”) le ultime parole ufficiali: “Che la Madonna del Sasso guardi la sua Locarno. Chiudo il Festival 2023: il Festival del Film vi dà appuntamento al 7 agosto 2024».

Il giorno dopo…

Marco Solari, ora la sua esperienza si è davvero conclusa. Di com’è stata la vigilia ci ha detto quando Locarno76 è cominciato: com’è il giorno dopo?

C’è un aspetto razionale che da sempre non mi permette di lasciarmi andare fino all’ultimo minuto dell’ultima ora, perché il Festival è una macchina che non può incepparsi, anche se emotivamente quella di sabato non è stata una giornata come le altre. Il giorno dopo posso dire che in Piazza Grande si è chiusa la 76esima edizione, dopo 23 anni di Festival da presidente, ma in un certo senso per me questo è stato un atto conclusivo più profondo: si è chiusa la presenza pubblica, o parzialmente pubblica di tutta una vita, iniziata il 29 dicembre 1972. È dunque chiaro che si sia trattato di una giornata particolare. Di questi addii ne ho vissuti diversi e so che bisogna tenere sotto controllo le emozioni con artificiale freddezza, quasi da attore consumato, ricordandosi che quella del presidente è solo una funzione che un giorno sarà svolta da altri, e che il compito è stato quello di adempiere al meglio questa funzione, in nome di una responsabilità che mi è stata consegnata e che non avrei avuto il diritto di deludere.

Cosa si porterà da quest’ultima edizione, e dall’ultima giornata in particolare?

Ci pensavo sabato stamattina camminando verso il PalaCinema: mi sono detto di quanto io sia stato privilegiato per l’aver potuto chiudere sentendo l’affetto della gente di Locarno, quei sorrisi di gentilezza, quei ‘buongiorno’, qualcuno timido, qualcuno più deciso, ma senza eccezione. La presidenza è stato un privilegio immenso perché capisco di essere entrato con il mio lavoro nel cuore della gente. Allo stesso tempo, però, non posso non pensare al fatto che in tutti questi anni io possa avere fatto del male, offeso o deluso persone ritiratesi nel loro silenzio, del quale non so assolutamente niente. Ho imparato che nella vita, quando succede qualcosa, bisogna parlare, perché all’origine di tutto c’è solitamente un malinteso. E dunque vorrei chiedere scusa a chi, involontariamente, in tutti questi anni, si possa essere sentito ferito da me per un mio gesto, una parola di troppo.

Il Pardo d’oro al film iraniano pare degna conclusione del suo essere garante della libertà artistica di cui gode il Locarno Film Festival…

Non potrei essere più felice. Ricordo, però: libera giuria in libero Festival. Né il direttore artistico, tanto meno il presidente influenzano la decisione della giuria. Che però questa giuria, proprio nel 2023, decida di premiare questo film che è un inno di libertà, questo è per me un regalo inestimabile. Quell’inno è emblematico di tutte le lotte che questo Festival ha portato avanti in nome dei grandi valori umani, che per troppi di noi paiono dovuti, simili a certezze, e sono invece di una fragilità paurosa. E dunque serve lottare, serve credere che non si tratta di qualcosa di perennemente ed eternamente a rischio, per una serie di motivi che a un 80enne possono fare paura.

Penso anche alla piega che sta prendendo l’intelligenza artificiale, al rischio che non vi sia più differenza tra verità e bugia, alla possibilità di creare artificialmente pseudo emozioni. Oggi come oggi, anche questa è una lotta per la libertà, insita in un Festival che sin dall’inizio ha rifiutato, a volte rimettendoci in termini di consenso, il frou frou, le paillettes, lo scintillio dei vestiti, dando spazio al contenuto e non all’apparenza, alla mondanità, alla superficialità. Questo Festival che è stato un luogo in cui ‘libertà’ non è mai stato uno slogan.

La scorsa settimana ci aveva confidato il rammarico di non aver potuto approfondire la conoscenza dei tanti nomi transitati a Locarno. Quest’anno è andata diversamente?

Quest’anno è andata peggio. La macchina è cresciuta a dismisura e si è corso come non mai. In questa edizione, il momento per me più commovente sta in quei trecento secondi insieme a Renzo Rossellini: ci siamo guardati negli occhi e ci siamo intesi. La stessa cosa accadde con Jodorowsky, Schroeder, Adrien Brody, Susan Sarandon, e con Daniel Craig, talmente entusiasta della piazza che quando il suo staff lo invitò a lasciarla, lui volle restare. In platea sedevo vicino a lui, mi diede una decina di pacche sulla spalla, una più forte dell’altra. Diciamo che l’ho sentito».

Per finire. Il segreto è svelato, la ‘carte blanche’ del Festival al suo presidente s’intitolava ‘Quarto potere’: ci racconta la scelta?

Confesso di avere avuto in testa per un buon periodo il film che più mi ha commosso in questi anni, vissuto il 10 agosto 1982 in Piazza Grande, ‘La notte di San Lorenzo’ dei fratelli Taviani, perché mi sento vicino all’Italia, perché voglio bene a quella terra e per l’atroce guerra fratricida vissuta. Ma il film in piazza avrebbe anche potuto essere ‘Morte a Venezia’, un capolavoro di regia, in questo caso, e un capolavoro letterario il precedente. Ne avevo uno di riserva, ancora in testa, e cioè ‘Twelve Angry Men - La parola ai giurati’, di Sidney Lumet, che poi ho scartato. È rimasto il film del regista che amo di più, Orson Welles, dunque ‘Quarto potere’, non solo perché ho passato alcuni anni nel mondo dell’editoria, ma perché profondo e geniale nel mostrare come tu non puoi comperare la felicità, o imporre agli altri la felicità come la vedi tu, e questo mostra l’incredibile solitudine di chi ha tutto e non è capace di dare.


Keystone
Con la moglie Michela


laRegione
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