Un trio di pittori e frequentatori del Centro diurno cittadino dell’Organizzazione sociopsichiatrica espone le loro opere al Rivellino il prossimo autunno
Sulla cartina, la sede del Centro diurno dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale è nel cuore della città di Locarno. Non proprio al centro; così come, del resto, non lo è nel nostro torace il muscolo cardiaco. Come lui, il Centro pulsa di vita. Dentro, trova spazio il Club Andromeda di Locarno, attivo dal 1988, una delle cinque associazioni sparse sul territorio cantonale che offrono un luogo protetto a coloro che soffrono di problematiche psichiche e sociali. Le finalità sono terapeutiche e riabilitative, e si raggiungono attraverso progetti che attivano concretamente e creativamente l’autodeterminazione e la responsabilizzazione, in un’ottica di confronto e condivisione delle esperienze. Le altre associazioni in Ticino sono: Club Athena a Chiasso, Club ‘74 a Mendrisio, Club la Fenice a Lugano, Club Andromeda Perseo a Bellinzona.
È una mattinata torrida. Nel grande appartamento ancora disabitato in via Serafino Balestra, incontro Catherine Decarli, da quattro anni animatrice socioculturale del Centro, educatrice di formazione. Insieme a lei, lavora come animatrice Laura Taiana, che di formazione è ergoterapista. Il motivo del nostro incontro è la mostra di una quarantina di opere realizzate da Deborah Candolfi, Giovanna Lanini e Rudy Flückiger, che si terrà al Rivellino il prossimo ottobre. I tre protagonisti dell’esposizione “L’arte come espressione di rinascita” – che s’inserisce nel solco delle attività volte all’integrazione – si sono cimentati nella realizzazione di quadri che interpretano il concetto caricandolo delle proprie emozioni; un concetto che assume particolare densità e significato dopo il lockdown imposto dal Covid-19 lo scorso anno. «L’idea della mostra – chiarisce Catherine – nasce dalla voglia di ricominciare» e ha preso forma durante l’atelier di pittura, che si tiene ogni venerdì e a cui partecipano cinque, sei habitués.
I grandi cataloghi la definirebbero art brut, una potente espressione carica di sé e delle proprie emozioni, tutte trasposte sulla tela con segno libero, colori espressivi, dove l’astrazione è il minimo comune denominatore. «Hanno fra i 30 e i 70 anni, Deborah, Giovanna e Rudy e non vedono l’ora della mostra; sono entusiasti. Per loro è motivo di orgoglio portare fuori dal Centro le proprie opere, mostrarle al pubblico. E come dire ‘noi ci siamo, nonostante le problematiche che dobbiamo affrontare, abbiamo talento da far vedere!’». La rinascita è il tema protagonista delle circa quaranta opere, interpretata secondo l’individualità di ciascun espositore che è “alla ricerca di uno stupore continuo”, si legge nel foglio di sala. Una lettura della realtà, secondo la lente del proprio vissuto, manifestata nella pittura: «Attraverso i loro quadri, desiderano avvicinarsi alla gente». L’espressione artistica, oltre che trasposizione materica dell’io, è vista quindi come ponte fra sé e l’altro. «L’intenzione è promuovere gioia e felicità, ma anche la volontà di evolvere di continuo», chiosa Catherine.
Quei tre mesi di confinamento – da marzo a maggio 2020 – sono stati duri per tutti, ciascuno di noi ha dovuto far fronte a una vita appiattita e reclusa. E forse, quei mesi, sono stati un po’ più duri per i frequentatori del Club, chiuso in quel lasso di tempo. Covid o non covid, ogni giorno vivono loro malgrado un altro tipo di confinamento e si ritrovano a doversi confrontare con una società (o meglio una parte di essa) che finge di non vederli e li spinge ai margini.
Qui entra in gioco l’associazione. Oltre a essere uno spazio protetto di cura e riabilitazione, promuove incontro e socializzazione, scambio e condivisione; sia al suo interno, sia fuori. I frequentatori possono partecipare a disparate attività terapeutiche e/o riabilitative: dal Gruppo pranzo al Gruppo maglia; dai Gruppi di parola al Gruppo bagno pubblico, fino a quello relax e al Gruppo uscite. Le attività che contemplano l’apertura verso la Città hanno anche come obiettivo «mischiarsi con la popolazione», per abbattere i muri che rendono invisibili le persone che soffrono di problematiche psichiche e sociali, favorendo la relazione con l’esterno, al fine di combattere i preconcetti nei loro confronti. Lo scopo dei Club – si legge dalle righe di presentazione – comprende coinvolgimento e partecipazione degli utenti del Centro diurno “nella pianificazione, organizzazione e valutazione di attività sociali, culturali e ricreative, con finalità terapeutiche, riabilitative e di reinserimento sociale”.
«Al Club Andromeda di Locarno è iscritta un’ottantina di persone. Ogni settimana, partecipa alle attività una trentina di utenti, che varia di volta in volta», illustra Catherine. Il gruppo del Centro diurno di Locarno racchiude più generazioni, «il più anziano ha ottant’anni; mentre il più giovane una ventina». Fra gli strascichi della pandemia, rileva la nostra interlocutrice, pare esserci altresì un aumento dell’utenza giovane, osservata in generale da tutti i Club sul territorio.
Il tempo della nostra chiacchierata è finito; una stanza dell’appartamento si è popolata: è l’ora dell’attività del Gruppo relax. Lascio il Centro in punta di piedi, per non disturbare. L’appuntamento sarà per il 2 di ottobre con la vernice, ufficialità cui prenderanno parte anche le autorità cittadine.