Assunto come uomo delle pulizie ma impiegato come piastrellista: il Tribunale d'appello gli riconosce ragione piena e oltre 20mila franchi di arretrati
Far fare a un interinale il suo mestiere pagandolo come se avesse svolto un impiego meno qualificato non si può. Lapalissiano. Ma per marchiarlo a fuoco hanno dovuto intervenire prima il Pretore di Locarno-Città, poi la Seconda camera civile del Tribunale d'appello. Il risultato? Oltre 22mila franchi di arretrati salariali a favore del lavoratore in questione; una vittoria per il sindacato Unia, che l'ha difeso e tutelato; e un avvertimento che «la pratica, benché molto diffusa (specialmente fra i frontalieri) è una bassezza che se scoperta comporta pesanti conseguenze», come sottolinea, alla “Regione”, Daniele Marandola di Unia.
I fatti: la società di collocamento e prestito di personale (che ha sede in Vallese e una succursale anche a Locarno) assume con contratto d'incarico un uomo per farlo lavorare in qualità di “operaio per pulizie ordinarie I” in un'impresa edile. Salario lordo: 25 franchi e 57 centesimi l'ora. Per diversi mesi l'operaio fa il suo e anche di più: viene infatti spesso e volentieri impiegato come piastrellista, il mestiere che ha imparato. Per un po' può andare, ma non per troppo: l'uomo a un certo punto si stufa e chiede due cose: un adeguamento salariale adeguato ai compiti effettivamente svolti, nonché la ratifica retroattiva delle distinte salariali con la modifica del minimo di categoria rispetto al Contratto collettivo di lavoro nel ramo della posa delle piastrelle, dei mosaici e delle pietre naturali e artificiali. Il risultato: l'agenzia interinale, via Whatsapp, gli comunica la disdetta poiché, a suo dire, l'impresa non può più garantirgli lavoro. Secondo l'uomo, affiliato Unia, si tratta di una rappresaglia per il suo tentativo di ottenere giustizia.
Da lì inizia la battaglia, che Unia circostanzia nella fissazione del salario giusto per il mestiere svolto (28.25 all'ora, in base al Ccl) e nella commisurazione di un arretrato dovuto dalla società interinale, per i mesi di lavoro già effettuati, di poco superiore ai 24mila franchi. L'agenzia, però, contesta la legittimità di qualsiasi importo, premettendo che in ogni caso non dovrebbe essere lei a versarlo, visto che la disdetta era stata decisa dall'impresa edile. Impresa che tra l'altro – rileva sempre la ditta interinale – ha sempre negato di aver fatto svolgere durevolmente all'uomo lavori da piastrellista. Quest'ultimo, oltretutto, non avrebbe mai segnalato di essere stato indebitamente impiegato nel suo settore di competenza, nè avrebbe mai avanzato pretese di adeguamento salariale.
Un accordo non si trova, così si va in Pretura, dove l'agenzia di interinato nega l'assoggettamento dell'impresa edile al contratto mantello del settore dell'edilizia e incolpa l'uomo, che inizialmente aveva taciuto, di aver violato un obbligo di diligenza e fedeltà.
Ma la difesa non regge, perché la Pretura accoglie le pretese del lavoratore (anche se limitatamente a 22mila franchi netti, più interessi) e sancisce che: l'impresa edile è assoggettata al Contratto nazionale mantello (Cnm) per l'edilizia; che essa stessa, unitamente al lavoratore impiegato, era assoggettata anche al Ccl ticinese per il settore dell'edilizia in quanto parte integrante del Cnm; e che l'uomo non ha violato alcun dovere di fedeltà, “avendo presentato (all'agenzia interinale, ndr.) al momento dell'assunzione, il suo curriculum completo e avendo egli consegnato ogni settimana i bollettini di lavoro contenenti anche la voce ‘piastrellista’, che tuttavia non venivano controllati adeguatamente da nessuno”.
Tutto chiaro e lineare, ma non per l'agenzia interinale, che va alla Seconda camera civile del Tribunale d'appello contestando sia di essere stata sottoposta al Cnm, sia i termini di assoggettamento dell'impresa edile allo stesso Ccm; e aggiungendo che il lavoratore non aveva mai protestato per svolto il suo proprio lavoro pur essendo stato pagato meno. Ma sono considerazioni che la Seconda camera civile ha respinto, aggiungendo che di fatto il lavoratore non ha mai fatto pulizie, ma sempre opere di natura edile. L'agenzia avrebbe quindi avuto sempre in mano tutti gli elementi per sapere che le cose stavano così e non diversamente. Agenzia cui in appello viene pure contestato “un comportamento del tutto inammissibile e contrario ai propri doveri di datore di lavoro, a fronte di precise denunce da parte del lavoratore, accontentarsi di semplici e sbrigative assicurazioni da parte del titolare dell'impresa terza acquisitrice, che aveva tutto l'interesse a mantenere i salari i più bassi possibile”.