L’Associazione industrie ticinese scrive alle aziende affilate. Controlli e sanzioni: cosa prevede la normative e come si sta organizzando il Cantone
Sei pagine. Firmate dall’Associazione industrie ticinesi e destinate alle aziende affiliate. L’argomento è quello che sta investendo il mondo del lavoro e interrogando la politica ticinese: “Contratti collettivi di lavoro e salari minimi“. Sei pagine inviate ieri dall’Aiti dopo il caso delle tre ditte del Mendrisiotto - dove le paghe, pattuite con l’organizzazioneTiSin presieduta dal già sindacalista dell’Ocst Nando Ceruso, sono inferiori al salario minimo contemplato dalla legge cantonale che entrerà in vigore a dicembre - e nell’imminenza della discussione generale in Gran Consiglio, prevista per oggi o domani. Nell’attesa presa di posizione l’Associazione industrie tocca più aspetti. E a proposito della legge afferma che "il salario minimo è stato approvato dal popolo ticinese ed è diventato legge dello Stato. Bisogna prenderne atto e adeguarsi di conseguenza”. Adeguarsi dal profilo salariale. I contratti di lavoro “non devono essere utilizzati per aggirare” la volontà popolare.
Parole importanti. Contenute in un’ampia riflessione. “Nella misura in cui - ricorda l’Aiti - un contratto collettivo di lavoro non viene definito per venire meno a una legge dello Stato e rispetta anzi le leggi, esso è pertanto legittimo. Ma accanto al rispetto delle leggi vi sono anche gli aspetti di opportunità. Ribadiamo la comprensione per le aziende che vogliono evitare licenziamenti". L’Associazione industrie ticinesi “ha sempre combattuto il salario minimo perché lo ritiene controproducente e dannoso per le lavoratrici e i lavoratori, per gli aspetti che Aiti ha sempre sostenuto: le soglie, come votato dal popolo, dovrebbero essere differenziate anche per mansione; la soglia decisa dal Gran Consiglio è troppo alta per alcune mansioni e non rispecchia quanto per anni si è visto in diversi Ccl (contratti collettivi di lavoro, ndr); ci sarebbe voluto un tempo di adattamento più lungo, partendo da soglie più vicine a quelle proposte dal Consiglio di Stato a suo tempo“. Premesso tutto questo e “a meno che il Tribunale federale approvi i ricorsi contro la legge sul salario minimo cantonale” (tra i ricorrenti figurano pure le tre aziende del Mendrisiotto all’origine della polemica di queste settimane), "tale salario minimo è stato approvato dal popolo ticinese ed è diventato legge dello Stato”, sottolinea l’Associazioen industrie. Dunque "bisogna prenderne atto e adeguarsi di conseguenza. Sarà comunque in ultima istanza il Tribunale federale a stabilire se la legge sul salario minimo cantonale così come è stata approvata dal Gran Consiglio è di fatto legale oppure no. Ma anche se non lo fosse, prima o poi comunque una legge cantonale sul salario minimo esisterà”.
L’associazione si esprime inoltre sull’annunciata discussione generale in parlamento. E già sin d’ora manifesta la propria contrarietà a eventuali proposte di modifica costituzionale e/o legislativa volta “ad assoggettare anche i Ccl alle leggi dello Stato”. Poiché ciò “significherebbe snaturare il partenariato sociale e mettere in discussione la continuità dei contratti collettivi di lavoro". D’altronde, prosegue, la Costituzione federale “vieta espressamente la definizione di salari minimi di tipo economico, che sono dunque delegati di fatto alla discussione fra le parti sociali o fra l’azienda e il collaboratore”. Senza dimenticare che "sovente i contratti collettivi di lavoro prevedono prestazioni aggiuntive”, con il datore di lavoro che ad esempio "paga il premio di cassa malati o parte del premio del collaboratore”.In ogni caso l’Aiti "si attende che le imprese che ne fanno parte promuovano condizioni di lavoro appropriate e contratti di lavoro moderni”.
La legge sul salario minimo è stato varata dal Gran Consiglio, in seguito a un lungo e tormentato iter, nel dicembre 2019 per concretizzare l‘articolo costituzionale voluto dai cittadini con l’approvazione il 14 giugno 2015 dell’iniziativa popolare dei Verdi ’Salviamo il lavoro in Ticino’. Una prima bozza di legge messa a punto dalla commissione della Gestione stabiliva al quarto capoverso dell’articolo 2, quello sul campo di applicazione della normativa, che “il salario minimo lordo legale prevale sui contratti collettivi di lavoro con salari minimi inferiori”. La maggioranza commissionale però rinunciò al citato capoverso. Nella legge votata dal parlamento si afferma infatti che la normativa sul salario minimo non si applica “ai rapporti di lavoro per i quali è in vigore un contratto collettivo di lavoro di obbligatorietà generale o che fissa un salario minimo obbligatorio”. Così recita l’articolo 3 alla lettera i), lettera che il Movimento per il socialismo chiede di cancellare.
Una legge, quella sul salario minimo, realtà da quasi un anno e che dal prossimo mese di dicembre passerà nella sua fase di attuazione. «In pratica i conteggi paga di fine anno dovranno rispettare il minimo salariale del rispettivo settore economico, così come fissato dal decreto esecutivo del Consiglio di Stato», ci spiega Gianluca Chioni, capo dell’Ufficio dell’ispettorato del lavoro (Uil) a cui spetterà la vigilanza sul rispetto di questa norma cantonale. Ricordiamo che durante la prima fase, da attuare entro il 31 dicembre, il minimo legale è compreso tra 19 e 19,50 franchi. Forchetta che si situerà, una volta esaurita la fase transitoria entro la fine del 2024, tra i 19,75 e i 20,25 franchi.
Da gennaio 2022, quindi, l’Ufficio dell’ispettorato del lavoro avvierà gli accertamenti nelle aziende. «La legge – continua Chioni – prevede delle eccezioni». Per esempio il salario minimo non si applicherà agli apprendisti, a i lavoratori con meno di diciotto anni, giovani alla pari o in stage, a coloro che hanno una ridotta capacità lavorativa riconosciuta da un’assicurazione sociale, alle persone occupate in un’azienda familiare (parenti diretti del titolare, ndr) o agricola oppure per i rapporti di lavoro per i quali è in vigore un contratto collettivo di lavoro di obbligatorietà generale o che fissa un salario minimo obbligatorio. Il riconoscimento delle eccezioni, anche quando è stato sottoscritto un contratto collettivo di lavoro, sia esso settoriale o aziendale, non è però automatico. «Spetterà all’Uil determinare la legittimità dell’eccezione. Nel caso si dovesse ritenere non pertinente l’eccezione invocata, si applicherà comunque il salario minimo previsto dalla legge», spiega Chioni che precisa anche quali potrebbero essere le possibili sanzioni.
«La normativa prevede – agli articoli 7 e 8 – due procedure nei confronti dei datori di lavoro inadempienti: una in ambito amministrativo con sanzioni pecuniarie fino a un massimo di 30 mila franchi nei confronti dell’azienda e un’altra di tipo penale contravvenzionale con multe fino a un massimo di 40 mila franchi nei confronti delle persone che hanno commesso le violazioni». «La procedura penale – precisa Chioni – può essere avviata se il datore di lavoro ha violato la legge sistematicamente e a fine di lucro». «La sanzione è in ogni caso proporzionale all’importo risparmiato e ammonta al 160% della differenza tra il salario dovuto per legge e il salario effettivamente versato. In caso di comprovata integrazione salariale retroattiva (se l’azienda corregge i conteggi, ndr) la sanzione può essere ridotta fino al 50%», aggiunge Gianluca Chioni.
Il mancato reintegro del salario dovuto comporta comunque delle possibili rivendicazioni in sede civile da parte dei dipendenti. «In questo caso competenti per dirimere le vertenze sono il giudice di pace o il pretore, a dipendenza del valore della causa. In ambito amministrativo, le decisioni dell’Uil possono essere impugnate dinanzi al Consiglio di Stato ed eventualmente, in seconda istanza, davanti al Tribunale amministrati e in seguito al Tribunale federale. In ambito penale, la prima istanza è la Pretura penale. La Corte di appello e di revisione penale invece delibera sugli appelli interposti contro le sentenze della Pretura», conclude Chioni.
Nella sua presa di posizione l’Associazione industrie ricorda che “ogni contratto di lavoro deve avere valore legale e le parti sociali devono essere rappresentative e indipendenti l’un l’altra. Queste condizioni sono imprescindibili e devono essere rispettate da ogni parte sociale”.