Vallemaggia

Uccise camoscio femmina, sentenza annullata

Cacciatore aveva abbattuto un'animale che allattava. Il Tribunale federale ritorna l'incarto alla Corte d'appello

Ti-Press
23 novembre 2020
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Il 2 settembre del 2016, in Vallemaggia, aveva abbattuto “per lieve negligenza” un capo di selvaggina del quale non è permessa la caccia: una femmina adulta allattante di camoscio. Il cacciatore, che si è autodenunciato, nel febbraio del 2019 è stato condannato dal presidente della Pretura penale al risarcimento del danno causato al patrimonio faunistico (350 franchi: 100 per il capo abbattuto e 250 per le spese di una perizia sull'animale) e al pagamento degli oneri processuali. Sentenza confermata il 28 gennaio scorso dalla Corte d'appello e revisione penale (Carp). Ma all'inizio di questo mese il Tribunale federale di Losanna ha accolto il ricorso del cacciatore, annullando la sentenza e ritornando l'incarto alla Carp per una nuova decisione.
Il motivo? In sostanza, i giudici di Losanna hanno dato ragione all'uomo su due punti importanti. Il primo riguarda la sua presunta negligenza. Il ricorrente rimprovera alla Corte cantonale di avere violato il suo diritto di essere sentito, anche perché hanno ascoltato solo uno dei tre testimoni a suo favore. Ciò che non ha permesso di accertare meglio i fatti. In particolare, il cacciatore ha sempre affermato di aver osservato con attenzione l'animale prima di abbatterlo e di aver “rilevato come la mammella non fosse particolarmente gonfia e non avesse le dimensioni usuali di una mammella di femmina allattante”. Da qui l'errore, non dovuto a negligenza. Per il Tf le audizioni dei testimoni “avrebbero potuto concorrere a valutare ulteriormente anche queste dichiarazioni. Esse non appaiono quindi manifestamente irrilevanti per l'esito del giudizio”. In altre parole, i testimoni citati dall'imputato andavano ascoltati.
Inoltre il ricorrente contestava la competenza dell'autorità penale a stabilire il risarcimento del danno causato al patrimonio faunistico. E anche in questo caso il Tf gli ha dato ragione: “Le pretese di diritto pubblico non vengono di massima sottoposte direttamente a un tribunale mediante un'azione, ma devono essere stabilite con una decisione amministrativa soggetta a ricorso. In concreto, il risarcimento del danno faunistico, in quanto pretesa fondata sul diritto pubblico, esulava quindi dal procedimento penale”.