Sentenza ex funzionario del Dss negata al governo: i motivi per cui il Tribunale federale ha respinto la richiesta del Consiglio di Stato. Bacchettandolo
Il ricorso? “Manifestamente infondato”, scrive Mon Repos. Eccola la sentenza con cui il Tribunale federale ha respinto il ricorso (vedi l’edizione di venerdì 4) che il Consiglio di Stato aveva presentato contro la decisione della presidente della Carp, la Corte d’appello e revisione penale, di negargli l’accesso al verdetto emesso in gennaio alle Assise criminali di Lugano che ha riconosciuto il 59enne ex operatore del Dipartimento sanità e socialità colpevole di coazione sessuale per episodi accaduti tra il 2003 e il 2004. Cinque pagine, datate 24 settembre, nelle quali la prima Corte di diritto pubblico del Tf da un lato ripercorre i motivi addotti dalla Carp per rifiutare l’invio di quel verdetto al governo e dall’altro spiega perché in pratica dà ragione ai giudici dell’Appello penale ticinese, davanti ai quali imputato, vittime e accusa hanno impugnato, per ragioni diverse, la sentenza di primo grado. Pur non essendo ancora definitiva, il Consiglio di Stato aveva chiesto di visionarla per verificare, alla luce delle dure parole pronunciate in aula dal presidente delle Assise criminali, una presunta situazione di omertà in Dipartimento all’epoca dei fatti. E quindi per capire se l’allora funzionario attivo nelle politiche giovanile poteva essere fermato e denunciato prima. È quello che vorrebbero capire anche i sette deputati che di recente hanno proposto l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta.
Ma torniamo all’altrettanto recente decisione del Tribunale federale. Richiamando anzitutto il secondo capoverso dell’articolo 101 del Codice di procedura penale, in base al quale “altre autorità” possono esaminare gli atti di un procedimento penale se questo è “necessario” per la trattazione di procedimenti (anche) amministrativi pendenti e se non vi si oppongono interessi pubblici o privati preponderanti. Ebbene, il Tf ricorda fra l’altro che la presidente della Carp “ha stabilito” che l’accesso agli atti sollecitato dal governo “non si fonda su necessità istruttorie nell’ambito di un procedimento pendente”. Perché al momento non c’è alcun procedimento amministrativo...
Nel rigettare il ricorso, Mon Repos non manca di bacchettare il Consiglio di Stato: “Il ricorrente, disattendendo il suo obbligo di motivazione non si confronta, se non in maniera incompleta e generica, con l’insieme degli argomenti posti a fondamento” della decisione della Corte di appello e di revisione penale, “né tenta di dimostrare perché e in quale misura la Carp avrebbe applicato in maniera lesiva del diritto federale” il citato capoverso 2 dell’articolo 101. Il governo, annota il Tf, “si limita infatti a osservare” che la sentenza di primo grado “non è chiesta con lo scopo di impiegarla nell’ambito di procedimenti amministrativi di natura disciplinare, che non sono pendenti, e neppure per avviarli. Il ricorrente rileva semplicemente che detta decisione potrebbe permettere, nel quadro di una procedura di verifica, di appurare un’eventuale gestione inadeguata del caso all’interno dell’Amministrazione cantonale e di chiarire semmai possibili lacune, fornendo spunto per rimediarvi dal punto di vista organizzativo, evitando in tal modo il ripetersi di simili situazioni”. Ma per Mon Repos, con questa argomentazione il Consiglio di Stato “non dimostra chiaramente un’applicazione non corretta dell’articolo 101 cpv. 2” del Codice di procedura penale. “Certo, il ricorrente aggiunge che, nel soppesare gli interessi delle parti, occorrerebbe considerare che l’Amministrazione cantonale è stata oggetto di critiche, che il procedimento penale ha avuto ampia eco nei mass media e che il tema ha dato adito a interpellanze parlamentari. Non spiega tuttavia – rileva il Tribunale federale – perché la Carp, accertato, rettamente, già l’inadempimento del primo requisito posto dall’articolo 101 cpv. 2, segnatamente la necessità di esaminare gli atti per la trattazione di un procedimento amministrativo, inesistente nella fattispecie, avrebbe dovuto nondimeno procedere alla ponderazione degli interessi in gioco”.
Insomma, un ricorso claudicante. Al governo non resta che attendere la crescita in giudicato della sentenza a carico dell’ex funzionario.
È del 9 maggio (2019) la richiesta del governo alla Corte di appello e di revisione penale, la Carp, di trasmettergli la sentenza di primo grado che ha condannato per coazione sessuale il già funzionario del Dss. Una richiesta inoltrata per il tramite della Sezione delle risorse umane, la quale rilevava che l’Esecutivo l’aveva incaricata di “estendere le verifiche circa una presunta situazione di omertà all’interno del Dipartimento”. Dopo aver dapprima preavvisato favorevolmente l’istanza, la procuratrice pubblica, titolare delle indagini e rappresentante dell’accusa al processo, ha in seguito ritenuto prematuro concedere l’accesso a una sentenza non passata in giudicato. Il legale delle accusatrici private aveva invece dato il proprio assenso, mentre il difensore dell’imputato (che respinge le accuse) si era opposto alla richiesta. Con decisione del 24 luglio la presidente della Carp, accertato che non è pendente alcun procedimento amministrativo, ha respinto l’istanza del governo. Di qui il ricorso del Consiglio di Stato al Tribunale federale, con la richiesta di annullare la decisione della Carp e di invitarla a trasmettergli la sentenza, subordinatamente di comunicargli gli accertamenti e le considerazioni della Corte delle Assise criminali sulle modalità di gestione del caso dell’ex funzionario in seno all’Amministrazione. Questi i fatti ricostruiti dal Tf nel suo recente verdetto, con cui ha silurato il ricorso.