Locarnese

Moneto, quei 'brutti' tagli che fan bene al bosco

In corso un lavoro di esbosco 'deficitario'. L'eliminazione di alberi di alto fusto consente alla luce di raggiungere il suolo, favorendo la biodiversità

10 luglio 2019
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Due “ferite” che tagliano la montagna, in quello che sembra un danno inferto alla vegetazione boschiva. Ma così non è, perché quelle due “strisce” senza alberi nei boschi di Moneto, di fronte all’abitato di Camedo, che tutti possono facilmente scorgere, fanno parte di un intervento di taglio definito “deficitario”. A spiegarci di cosa si tratta è Giovanni Galli, alla testa dell’Ufficio forestale dell’8° circondario. «I boschi di protezione in Ticino si distinguono in due tipi: quelli di protezione diretta, che proteggono dai pericoli naturali abitati e strade (nei quali vengono solitamente effettuati, da enti pubblici o dallo Stato, interventi selvicolturali sussidiati) e quelli di protezione indiretta, nei quali gli imprenditori forestali possono, con il nostro accordo, farsi promotori di progetti di sfruttamento del legname. Nel caso delle alte Centovalli, si tratta, appunto, di un progetto di taglio “deficitario”, portato avanti da un imprenditore privato. Il committente prende contatto con le parti (nello specifico sono quasi tutti dei proprietari privati), ci sottopone il suo progetto, per il quale percepisce un contributo al metrocubo esboscato. Un sussidio non rilevante, ma che comunque stimola un lavoro di gestione del bosco interessante.

Il doppio vantaggio dell’operazione: giova alla natura e all’economia

«Da una parte i tagli favoriscono – permettendo alla luce di arrivare sino al suolo – la crescita di novellame (anche di altre speci) e migliorano la qualità del sottobosco, rendendolo ecologicamente più ricco (pure per la fauna), interessante e meglio strutturato; dall’altra stimola l’economia del legno (pensiamo ad esempio al fabbisogno delle centrali termiche presenti nella regione), favorendo lo sfruttamento di una risorsa locale, a portata di mano, evitando magari l’importazione dall’estero». Il tutto, senza ricorrere all’elicottero per il trasporto a valle delle piante tagliate: «Il committente – prosegue Galli – fa capo a una teleferica per esboscare il legname nella zona di deposito. Così non nuoce all’ambiente, risparmiando baccano e inquinamento». Resta il fatto che, esteticamente, non è forse momentaneamente un gran bel vedere: «Qualche perplessità è comprensibile. Ma, ripeto, dal punto di vista ecologico e della biodiversità, questi tagli creano nuove dinamiche, permettono al bosco di rinnovarsi e ad altre essenze forestali di insediarsi. Rispetto alla faggeta pura, con un sottobosco “pulito” ma estremamente povero, nei prossimi anni si svilupperà un bosco più ricco e stabile, a beneficio della natura. La scelta di intervenire in un’area come questa, piuttosto che in un’altra, è dettata anche da ragioni economiche. La morfologia del territorio delle nostre valli non facilita il lavoro di cura o sfruttamento del bosco. Chi investe risorse per un cantiere del genere, deve poter contare su una buona logistica: una strada forestale, spazio per la teleferica d’esbosco e sufficienti depositi per la lavorazione e il carico del materiale. Quindi la scelta cade su pendii facilmente raggiungibili, in zone non troppo discoste». Un invito a vedere il bicchiere mezzo pieno, quello di Giovanni Galli, dunque: «Si crea lavoro, si valorizza la materia prima locale, si fa del bene al patrimonio boschivo». Per il resto, si chiuda un occhio. Il tempo, si sa, cancella le ferite.