Negli 8,5 km di ‘Percorso Vite/a’ la storia della viticoltura di Gordola e del Ticino grazie al lavoro di ricerca curato per intero da Federviti Locarno e Valli
Si chiama ‘Percorso Vite/a’ e una vocale non cambia il concetto per noi esseri umani, da molto tempo. «Negli 8mila anni di enologia conosciuti, l’evoluzione dell’uomo è legata in modo indissolubile alla vite, sin da quando si veneravano gli dei». Insomma, che Bacco non è stato dio per caso ce lo conferma anche Graziano Carrara, presidente di Federviti Locarno e Valli al quale si deve un’idea accolta e sviluppata in piena armonia e massima collaborazione dal comitato della federazione. Si tratta di un percorso didattico che parte dalla diga della Verzasca e arriva sino a Montedato, curato in prima persona da viticoltori, ingegneri enologi e fitopatologi.
«Un lavoro genuino, più da appassionati che da professionisti che credo faciliterà la lettura da parte di tutti» – racconta Carrara –, nato 4 anni fa, con obiettivo focalizzato «su di una zona nella quale c’è ancora poco di edificato». Un progetto al quale un gruppo di adulti si è approcciato «con lo spirito degli adolescenti, senza alcuna idea precisa di dove saremmo andati a finire e soprattutto senza fare il copia-incolla da altri percorsi».
Per rendere praticabile questa esperienza, lunga in tutto 8 chilometri e mezzo, il lavoro è stato molto: «Grazie alla Protezione civile – continua il ‘signor Federviti’ – abbiamo ricostruito una parte di sentiero, un ponte sulla Valle del Carcale, unito al lavoro di operai comunali, di un gruppo di richiedenti l’asilo e di una ventina di viticoltori». Sistemati muri, muretti e altre piccole cose, la parte didattica: «Dai quattro iniziali – spiega Carrara – i cartelli sono diventati 14», per farci stare la storia della viticoltura in generale e quella più locale, «sin dal 1300, epoca delle prime tasse, al 1400, quella del primo rogito di un vigneto a Gordola».
I viticoltori, ingegneri e fitopatologi in questione si sono suddivisi i temi in base a preferenze e competenze, arrivando dopo 2 anni di lavoro alla versione finale dei testi che appaiono sui cartelli informativi; da qui le traduzioni in tedesco eseguite da apposito traduttore e le opportune immagini, in mancanza delle quali si è ricorsi a un illustratore, che ha avuto come modelli gli stessi viticoltori.
Anche se i cartelli ufficiali dei percorsi didattici hanno costi molto elevati, «qualcuno alla fine ha sorriso quando ha saputo che abbiamo speso per tutto il percorso circa 15mila franchi» dice con soddisfazione Carrara; un costo «pagato per gran parte dall’Associazione, e il resto ripartito tra i Comuni di Gordola, Cugnasco Gerra e Lavertezzo Piano». A testimonianza del fatto che spesso le idee riducono i costi, della grafica si è occupato un viticoltore grafico, oggi in pensione, e i non proprio economici supporti metallici per i cartelli sono stati ridotti grazie alla fornitura da parte del Cantone di scarti di ringhiere ex manutenzione.
«L’Ente turistico si è interessato a noi», conclude Carrara, annunciando un incontro a breve. Insieme al carico didattico e storico che questi 8,5 km portano con sé, grazie soprattutto alla memoria tramandata dagli anziani del posto, convive un intento altrettanto importante, quello di «far vedere a chi si è abituato alle comodità tecnologiche quanto sudore veniva speso per lavorare questi vigneti, quanto lavoro hanno fatto i nostri bisnonni per modellare queste colline, quanta fatica c’era dietro a una singola bottiglia di Merlot». Un racconto di sforzi che merita ulteriori sforzi: «Il percorso non è finito. A Pasqua, altri cartelli».
Sono 14 le ‘stazioni’ di ‘Percorso Vite/a’. Schede specifiche parlano di biodiversità, sistemi d’allevamento, cura e protezione dei vigneti, inclusi termini dialettali ed etimologie. Due cartelli sono dedicati alla storia del bosco, dalle selve castanili ai boschi di faggio e conifere. Ci sono poi schede sui vitigni nuovi e soprattutto su quelli storici, per i quali i riferimenti dettagliati non vanno più indietro del 1700, quando le varietà prodotte erano una trentina; molte di origine italiana (Nebbiolo, Barbera, Freisa), ma anche alcune autoctone (Bondola, Bondoletta, Marchesana. È ‘solo’ del 1906 l’avvio della coltivazione del Merlot). Schede particolarmente affascinanti sono quelle dedicate alla viticoltura “eroica”, praticata con grossi dispendi di sforzi fisici (anche detta “estrema”), un’attività che nel mondo vede protagonisti oggi il 2% dei viticoltori, un dato che in alcuni cantoni svizzeri, per via dei pendii, si attesta intorno al 30%. E se oggi i trasporti sono meccanizzati, con cremagliere o moto-carriole, prima degli anni 60 si ricorreva alla brenta, un recipiente di legno bislungo simile a una gerla; ancor prima, i materiali viaggiavano appesi ai cosiddetti ‘fili a sbalzo’, antesignani dei nastri trasportatori ricostruiti dagli ‘storici’ di Federviti nome per nome, famiglia per famiglia, dalla posizione di partenza a quella di arrivo. Sempre grazie agli anziani, nelle schede dei ‘fili a sbalzo’ sono stati ricostruiti due incidenti, purtroppo mortali, verificatisi rispettivamente nel 1947 e nel 1950 e un ferimento ‘galeotto’ di molti anni prima (1913), dal quale nacque anche un amore (per gli amanti delle storie a lieto fine, è tutto ben raccontato su www.federviti.ch). B.D.