Che cosa può e deve essere un istituto scolastico? Solo un centro di formazione o anche un luogo capace di accogliere le esigenze di una società che evolve?
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Nelle lunghe giornate di questa estate che volge al termine, transitando davanti al Parco Robinson a Locarno, capita di ritrovarsi in una giostra di voci, richiami, risate. Sono i bambini che, da mattina a sera, animano la colonia diurna promossa dal Municipio. Poco distante, nella sede delle Scuole comunali, raggiungiamo la direttrice Elena Zaccheo. Ci confida subito una «buona notizia: poco fa ho ricevuto la risposta positiva a un rapporto in cui chiedevo l’istituzione di una sezione della scuola dell’infanzia a orario prolungato, dalle 7 alle 19». La notizia, in effetti, per molte famiglie chiamate a quotidiani equilibrismi per conciliare lavoro e scuola, è positiva: «Da settembre si partirà, per ora durante il periodo scolastico, per poi estendere la sperimentazione alle vacanze».
In una società in costante evoluzione, in cui i ruoli non sono più immobili, la riapertura delle scuole rinnova un’esigenza crescente: sempre più donne (e spesso anche uomini) devono far coesistere, non senza difficoltà, la vita professionale con quella familiare. A metà pomeriggio, finito l’orario scolastico, a chi affidare i propri figli? La prima risorsa, è cosa nota, resta la famiglia, con i nonni contemporanei chiamati a tenersi giovani e in forma insieme ai nipoti. Ma quando questo non è possibile, che fare?
In Ticino, la Legge per le famiglie del 2003 si propone di «sostenere i genitori nel conciliare famiglia e lavoro o formazione». A partire da un principio cardine: «Lo Stato non deve sostituirsi alle famiglie e alle loro scelte». Come si leggeva già nel Rapporto della Commissione della legislazione, l’intervento statale è «sussidiario e complementare alle iniziative della società civile». In altre parole, la scuola resta scuola. Piuttosto, sono favoriti famiglie diurne e centri extrascolastici, autorizzati dal Consiglio di Stato, i cui costi possono essere rimborsati dall’Ufficio assegni familiari. Questi centri, dove è maggiormente favorita la socializzazione, sono 27, distribuiti però in modo disomogeneo: 21 nel Sottoceneri e 6 nel Sopraceneri. Di conseguenza, anche la risposta alle esigenze delle famiglie risulta parziale e frammentata.
Dunque? Si ritorna ai singoli istituti, alla loro buona volontà nel proporre programmi di doposcuola. Infatti, visto che non vi sono obblighi o linee guida, ciascuno fa come crede o come può, con differenze di offerta enormi. Quello di Locarno è un caso felice: gli alunni delle elementari possono restare a scuola ogni giorno fino alle 18.30/19 (in parte in collaborazione con un centro extrascolastico) grazie a diversi programmi di doposcuola. Inoltre, come detto, l’orario prolungato è in arrivo alla scuola dell’infanzia, ma ci sono pure le domeniche in palestra nei mesi invernali e le colonie estive. Al momento, dice la direttrice, si riescono a soddisfare le richieste delle famiglie.
Signora Zaccheo, visto che non vi sono obblighi, quali considerazioni hanno ispirato questa offerta?
«L’abbiamo elaborata in base alla tipologia dei nostri utenti, famiglie toccate dalle trasformazioni del mercato del lavoro, in particolare con la crescente partecipazione delle donne alla vita professionale. Tutto questo ha posto sia i genitori che le istituzioni di fronte a esigenze nuove in un campo importante e delicato, quello dell’istruzione: importante perché è alla base della crescita della persona, delicato perché costretto a un costante processo di adeguamento a nuove esigenze».
Tutto questo richiama una riflessione di fondo riguardo alla missione della scuola. In sintesi, il campo si divide fra chi ribadisce una visione tradizionale, unicamente come luogo di formazione, e chi la vorrebbe invece disposta ad assecondare le nuove esigenze di una società che cambia…
«Certo, una visione della scuola tradizionale la vorrebbe solo come luogo di formazione. Ma attenzione, la scuola non è un paradigma nozionista, di apprendimento e basta. Una nuova concezione della scuola sta nell’accoglienza di tutti i bisogni, per cui la formazione non può essere ridotta all’istituto scolastico. I bambini si formano ovunque, con tutti gli stimoli che la nostra società offre loro, dispongono già di una formazione che portano nel loro zaino dall’esterno: noi dobbiamo accogliere tutto questo. Oggi la scuola non è più il centro della formazione, ci sono anche altri momenti educativi e formativi importanti, non possiamo misconoscerli. A Locarno viviamo un mutamento demografico rapido e intenso, che si colloca in un più ampio processo di forte evoluzione sociale ed economica: aumento dei residenti, intensificazione dei flussi migratori, più famiglie di dimensioni sempre più piccole… Neghiamo tutto questo in nome di una filosofia della scuola tradizionale? No, così non possiamo crescere. Noi dobbiamo favorire nel bambino lo sviluppo di una coscienza, offrirgli un patrimonio di conoscenze e di educazione alla vita che possa davvero rimanere suo nell’età adulta. Per questo non possiamo procedere a settori, ma dobbiamo ampliare l’offerta».
Nella capacità di recepire e di soddisfare queste nuove esigenze, nel nostro cantone lei percepisce una frattura fra centri urbani e realtà più piccole?
«Noto una frattura nella sensibilità di chi deve accogliere le proposte dei direttori di scuola. I miei colleghi devono fare i conti con un Municipio che accolga le loro proposte e metta a bilancio un nuovo tipo di spesa, che non può essere coperto dal contributo minimo che viene richiesto alle famiglie: se tutto fosse a carico loro, verrebbe meno lo scopo sociale. Come uomini e donne di scuola abbiamo una sensibilità spiccata in questo senso, ci metto la mano sul fuoco: il freno viene piuttosto dalla politica per questioni di bilancio».