Il capo dei guardacaccia Nicola De Tann: ‘Finora causati importanti danni solo a pascoli e prati da sfalcio’
Una presenza sempre più importante e fonte di notevoli conflitti. Il progressivo ritorno dei cinghiali sul territorio nazionale è una storia piuttosto recente: negli anni 70 alcuni esemplari provenienti da Italia, Francia e Germania hanno iniziato a ricolonizzare i nostri pascoli, implicando una crescita esponenziale nelle regioni alpine e prealpine. Un fenomeno che non ha risparmiato il Ticino e nemmeno i Grigioni, in particolare la Bassa Mesolcina dove sta assumendo dimensioni senza precedenti. Un bel problema, perché i voraci ungulati non si nutrono solamente di ghiande ed erbacce, ma pure di prodotti dell’agricoltura insinuandosi sempre di più in zone edificate e coltivate. «Le popolazioni sono in continuo aumento, da qualche mese in maniera più marcata, causando importanti danni a pascoli e prati da sfalcio – evidenzia interpellato dalla ‘Regione’ il capo dei guardacaccia del Moesano Nicola De Tann –. Finora non hanno intaccato le colture, ma la situazione è in costante evoluzione». Le misure di prevenzione attuate hanno il compito di contenere, o più precisamente limitare, le ripercussioni che la loro presenza comporta. La posa di reti elettrificate e l’abbattimento di maschi adulti e cuccioli, risparmiando per contro le femmine che ‘gestiscono’ il branco, «sono alcuni degli accorgimenti già messi in atto dalle autorità con l’obiettivo di ridurre i conflitti fra uomo e animale».
Il cinghiale si è adattato molto bene alle condizioni presenti sul nostro territorio, ricco di variegati ambienti in grado di offrire il nutrimento e la protezione di cui necessita (acqua, aree boschive con fitto sottobosco, superfici incolte, giovani piantagioni di conifere e novellami di boschi tagliati a raso). Per completare la sua dieta l’ingombrante mammifero ripulisce i campi di grano, rivoltando il terreno con il proprio muso dotato di zanne. È in grado inoltre di memorizzare i luoghi ideali dove alimentarsi nonché le fonti di pericolo e le posizioni di appostamento dei cacciatori. «Non hanno nemici predatori e sono molto prolifici (in un solo autunno possono triplicarsi, ndr), perciò in questo momento è molto complicato determinare la cifra esatta di tutti gli effettivi – continua De Tann –. Dalla piana sino alla cima in Bassa Mesolcina sono presenti un po’ ovunque; in val Calanca è invece un fenomeno ancora in espansione. Esemplari sono stati segnalati sui monti di Giova in territorio di Buseno. Non ancora nella vallata interna, ma è solo una questione di tempo». La loro individuazione è poi resa difficile dalla forte densità della superficie forestale, con oltre 200’000 ettari di bosco, ovvero circa il 30% del totale del Canton Grigioni. «Attualmente – evidenzia De Tann – le uniche misure attuabili sono i prelievi durante la caccia alta e di selezione. Non possiamo per contro agire come si fa in Ticino, dov’è possibile fissare degli appositi periodi di caccia. Su incarico delle autorità ad alcuni cacciatori è comunque stato dato il permesso di sopprimerli laddove sia certificata la presenza di scavi freschi».
Una crescita costante, almeno fino a qualche anno fa, è stata registrata anche nelle popolazioni di cervi. «Le misure di abbattimento sono state fruttuose: i prelievi sempre più frequenti hanno permesso di mantenere alta la pressione e contenere il loro incremento così come i danni provocati all’importante patrimonio boschivo, come richiestoci dai servizi forestali». Una diminuzione forse da ricondurre pure alla ricomparsa del lupo. «Sì – riconosce De Tann –, effettivamente la selvaggina rimane più alla larga dalle zone abitate. Di norma però la sua presenza è già meno marcata in questo periodo rispetto all’inverno, poiché spesso gli ungulati emigrano in Ticino e Italia». La situazione necessita di essere costantemente monitorata in modo da comprenderne le dinamiche e approfondire la discussione. «È comunque sempre difficile identificare un numero minimo di esemplari su un determinato territorio. Non esiste ancora una regola – conclude il capo dei guardacaccia moesani – che consenta di stabilire quale sia la presenza massima ammissibile di una specie».