Cade l'accusa di tentato omicidio sul conto del 56enne a processo per una lite con il figlio. Condannato a una pena pecuniaria. L'accusa chiedeva 4 anni
Non quattro anni di carcere interamente da espiare come richiesto dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi, bensì una pena pecuniaria di 16mila franchi sospesa con la condizionale. La Corte delle assise criminali di Riviera ha ridotto notevolmente le responsabilità del 56enne finito sul banco degli imputati con l'accusa principale di ripetuto tentato omicidio intenzionale. Secondo la Corte presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, infatti, l'uomo non solo non ha in nessun modo tentato di uccidere il figlio 20enne con un coltello nell'ambito di un litigio avvenuto tra le mura di casa, dove i due convivevano senza la madre, ma non aveva nemmeno l'intenzione di ferire il giovane. Di conseguenza non è stato configurato né il reato di tentato omicidio né quello di ripetute lesioni gravi, in parte tentate. Il 56enne è stato invece riconosciuto colpevole dei reati di lesioni semplici per dolo eventuale, tentate lesioni semplici per dolo eventuale, minaccia, ingiuria e ripetuta guida in stato di inattitudine (quest'ultimo reato è alla fine risultato quello più grave). Il giudizio della Corte, che non ha nascosto un certo stupore di fronte a quanto indicato nell'atto d'accusa, è quindi risultato decisamente meno severo rispetto alla posizione della pubblica accusa.
I fatti approdati in aula risalgono alla sera del 24 maggio 2024 e si celano dietro a un rapporto divenuto in quel periodo particolarmente difficile, anche a causa della dipendenza dall'alcol del padre, che anche in altre occasioni aveva generato la rabbia del figlio. Rientrato a casa ubriaco, quella sera l'uomo se l'era presa con il giovane, intento a giocare ai videogiochi, innescando una discussione con insulti e la reazione del 20enne che aveva sputato in faccia al papà. A quel punto l'uomo, intento a preparare la cena, ha lanciato un coltello da cucina, tuttavia – ha stabilito la Corte confutando la tesi dell'accusa – senza l'intento di ferire e tantomeno uccidere. In base alle dichiarazioni fornite dal giovane in sede d'inchiesta, per la Corte non è possibile accertare – come invece si sosteneva nell'atto d'accusa – che solo la sua reazione di spostarsi ha impedito di essere colpito dal coltello. E non si può poi nemmeno dare credito, anche qui in assenza di riscontri oggettivi, alla versione secondo cui l'uomo avrebbe in seguito rincorso il figlio fino in camera e, una volta riappropriatosi del coltello, tentato di colpirlo nuovamente all'addome. Durante la lite in camera da letto, il giovane è rimasto ferito superficialmente al braccio quando il padre gli ha sfilato il coltello dalle mani. In questo caso, ha stabilito la Corte, la colpa dell'imputato è stata quella di prendere comunque in considerazione la possibilità di poter cagionare delle ferite. Pagnamenta ha però sottolineato come l'uomo abbia subito prestato assistenza medica al figlio una volta resosi conto della ferita al braccio. In definitiva, la colpa dell'imputato è stata giudicata bassa. È stata ritenuta più importante, di grado medio grave, quella relativa al reato di ripetuta guida in stato di inattitudine.
La sentenza pronunciata oggi pomeriggio sposa dunque le conclusioni della difesa sostenuta dall'avvocata Sandra Xavier, che durante la sua arringa ha chiesto una pena detentiva con la condizionale non superiore ai 15 mesi, vedendo di buon occhio il proseguimento del percorso terapeutico – confermato dalla Corte – intrapreso dall'uomo per far fronte alla dipendenza dall'alcol. Percorso che lo stesso imputato ha detto di voler proseguire.
«Non volevo né fargli del male né ucciderlo. È mio figlio e gli ho sempre voluto bene». Così si è espresso in aula l'imputato, il quale ha in seguito raccontato ciò che ha incrinato il rapporto con il giovane, in particolare nelle settimane che hanno preceduto la lite del 24 maggio. «Fino a quando mio figlio aveva 18 anni, il nostro legame era buono – ha affermato durante l'interrogatorio –. Il conflitto tra di noi è iniziato quando il ragazzo ha avanzato sempre più pretese di denaro per i suoi hobby, viaggi o sfizi, nonostante io lo mantenessi e non gli facessi mancare nulla. Ho sempre cercato di provvedere ai suoi bisogni, visto che era ancora uno studente e non aveva nessuna entrata». Pochi giorni prima dei fatti il figlio, assistito da un avvocato, ha fatto recapitare una lettera al padre chiedendo che gli venissero versati più soldi. Ciò che ha contributo a rendere il rapporto ancora più teso. «Una cifra assurda, siccome in quel periodo ero in disoccupazione e non avevo quella somma a disposizione», ha precisato l’imputato. «Perlopiù, io ho sempre cercato di insegnare a mio figlio il valore del lavoro e dei soldi sudati, incitandolo a trovarsi dei lavoretti per contribuire alle sue spese».
Oggi il 56enne riconosce che grazie alla presa in carico della sua dipendenza da alcol, il rapporto con il figlio è migliorato. «Mi sento un uomo nuovo sia mentalmente, sia fisicamente». Riesce a vedere il giovane almeno una volta alla settimana, lo aiuta a sostenere gli studi e le spese di materiale per praticare la sua attività sportiva. Inoltre, hanno finalmente trovato un accordo sulla somma da versare al ragazzo mensilmente. L’imputato ha anche trovato un lavoro come tecnico di riscaldamenti e progetta di avviare la sua propria impresa. «La convivenza tra il mio cliente e l’imputato è stata da subito difficile, soprattutto a causa dell’abuso di alcol da parte dell’uomo che ha trasformava la sua personalità – ha affermato Davide Fagetti, avvocato del giovane costituitosi accusatore privato –. Un abuso che lo rendeva quindi irriconoscibile agli occhi del figlio. Ora che l’accusato si è reso conto del problema, e ha intrapreso un percorso di disintossicazione, il mio assistito lo perdona e sostiene che i fatti descritti nell’atto di accusa non sarebbero mai avvenuti se non vi fosse stato di mezzo l'alcol».
Presente in aula, anche il figlio ha voluto prendere la parola: «Questo evento spiacevole marca suo malgrado un nuovo inizio per il nostro rapporto. Ha infatti portato mio papà a liberarsi da una dipendenza con cui ha convissuto per tutta la sua vita. La sua astinenza da alcol mi aiuta a vederlo per ciò che era davvero. Per questi motivi, una condanna per tentato omicidio avrebbe dei risvolti negativi. Attualmente vedo mio padre stare meglio ed è una delle cose che mi rende più felice. Voglio ricostruire un rapporto sano con lui. Si è reso conto della gravità dei fatti e si sta curando affinché nulla di simile riaccada».