L'uomo rubò una cassaforte che conteneva la Glock poi utilizzata per uccidere il custode delle scuole. Non fu però lui a consegnare la pistola all'omicida
Complice un processo lampo tenutosi con la procedura del rito abbreviato, non una parola è stata pronunciata questa mattina nell'aula penale di Lugano su quella pistola rubata e poi finita per armare la mano del 42enne locarnese autore dell’omicidio del custode del Centro scolastico dei Ronchini di Aurigeno. Non è tuttavia difficile immaginare che la Glock, che si trovava all’interno della cassaforte portata via da un’abitazione del Locarnese, sia il furto che pesa maggiormente sulla coscienza del 35enne cittadino kosovaro condannato questa mattina dalla Corte delle Assise correzionali a una pena detentiva di 24 mesi, di cui 9 da espiare e i rimanenti sospesi con condizionale per un periodo di prova di due anni.
Tra novembre 2020 e maggio 2023, l'uomo si è reso colpevole di una lunga serie di colpi in abitazioni prevalentemente del Bellinzonese per una refurtiva totale stimata in poco più di 80mila franchi, tra gioielli, denaro contante, orologi. Dodici gli episodi descritti nel decreto d'accusa stilato dalla procuratrice pubblica Marisa Alfier, tra cui appunto il furto nella casa del Locarnese nell'aprile del 2023, giusto qualche settimana prima della tragedia consumatasi l'11 maggio all'interno della palestra dell'Isituto scolastico valmaggese.
Presentatosi a scuola nel primo pomeriggio, utilizzando proprio la Glock rubata dal 35enne kosovaro, il 42enne ha sparato al custode – rivale in amore – da distanza ravvicinata, senza lasciargli scampo. Come ricostruito dall'inchiesta, non è stato tuttavia il cittadino kosovaro a consegnare l'arma all'omicida. Stando a quanto sinora emerso, a vendere la pistola al 42enne è stato invece l'impresario del Bellinzonese di origini balcaniche, noto per essere al centro di diversi raggiri e per lo scandalo dei permessi facili, che nel suo appartamento di Bellinzona ospitava proprio il 35enne kosovaro. Quest'ultimo, solo nelle prime fasi dell'indagine è stato considerato dagli inquirenti come potenziale complice del delitto, salvo poi ritenere che il 35enne non fosse a conoscenza del contenuto della cassaforte e soprattutto del fine che avrebbe avuto l'arma una volta consegnata a colui che lo ospitava, se non che le pistole (nella cassetta di sicurezza c'era anche una Walther PPQ) sarebbero state destinate alla vendita in Italia.
Dal canto suo l'impresario di origini balcaniche (attualmente detenuto visto che per il passaggio dell'arma è accusato di complicità in assassinio), ha ammesso di aver ceduto, contro pagamento, la Glock, ma ha sempre negato di aver saputo quali fossero le intenzioni dell'omicida. A far da tramite tra l'impresario e il 42enne locarnese (in carcere con l'accusa di assassinio, subordinatamente omicidio intenzionale), secondo l'inchiesta coordinata dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri, era stata una 33enne, dipendente del negozio di telefonia mobile gestito dall’assassino. Finita in manette alla fine di agosto con l’accusa di complicità in assassinio, quest'ultima è nel frattempo già tornata in libertà.
Sul conto del 35enne kosovaro, patrocinato dall'avvocato Andrea Minesso, la Corte presieduta dal giudice Amos Pagnamenta ha ordinato anche l'espulsione dalla Svizzera per cinque anni. Tenendo conto del periodo già trascorso in carcere, l'uomo uscirà di prigione tra qualche giorno.