Bellinzonese

A Gudo riemerge una palude che favorisce la biodiversità

Gli interventi al biotopo di Vigna Lunga-Trebbione costati 400mila franchi permettono a specie rare e a rischio di estinzione di ritrovare il loro habitat

Ripristinata una vecchia lanca del fiume Ticino
(Ti-Press/Bianchi)
31 maggio 2023
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Rane che gracidano, uccelli che cantano e libellule che svolazzano tra piante rare che non vedevano l’ora di potersi riappropriare del loro habitat naturale. A Gudo, a pochi passi da una strada piuttosto trafficata e dal campo di calcio, circondata da campi agricoli, si trova una palude di importanza nazionale. Un biotopo e riserva naturale che ha in parte riportato alla luce una vecchia lanca del fiume Ticino, parzialmente scomparsa a seguito della bonifica. E proprio in questo luogo – che sembra essere un po’ fuori dal mondo, ma non lo è – oggi, 31 maggio, è stato presentato il progetto di valorizzazione di quest’area protetta, promosso dalla Fondazione del Parco del Piano di Magadino. L’importante investimento di 400mila franchi (finanziati, oltre che da Comuni, Cantone e Confederazione anche dalla Fondazione Blue Planet Virginia Börger X.X.) ha da un lato permesso di ripristinare la palude Vigna Lunga-Trebbione e dall’altro sarà utilizzato nei prossimi cinque anni per i lavori di manutenzione, in particolare per far sì che le specie invasive eliminate (come il bambù) non invadano nuovamente l’area. «Si tratta di un dei progetti più importanti promossi dalla fondazione che va a completare una prima parte dei lavori eseguiti sull’area ex nomadi», ha affermato il direttore Giovanni Antognini. Area che in passato era stata utilizzata quale deposito (al limite della legalità, se non abusivo) di inerti (relativi ai lavori per la realizzazione dell’autostrada) e scarti vegetali e che ora ha visto ritornare alla luce un laghetto. «Un intervento che riguarda quasi sei ettari nel cuore del Parco e che sarà ulteriormente valorizzato grazie a un ponticello che verrà posato a breve per congiungere le due sponde del canale».

Ricolonizzazione naturale già in corso

A guidare la visita del biotopo vi era Marco Nembrini, co-titolare dello studio di consulenza e ingegneria ambientale Oikos, che ha diretto il progetto su mandato della Fondazione del Parco. «I lavori sono iniziati lo scorso ottobre e sono terminati a marzo, mentre la fase progettuale ha necessitato più anni», ha rilevato. «Dopo due mesi dalla messa in esercizio si nota già una ricolonizzazione naturale di questi ambienti, sia da parte di specie vegetali, sia animali, legate agli ambienti palustri». A beneficiarne è la biodiversità e in particolare «specie protette, a rischio di estinzione, come la raganella padana, la rana verde, il tritone crestato meridionale e i rettili, tra cui ad esempio la natrice dal collare elvetica». Durante la visita abbiamo potuto osservare animali e piante che non si vedono spesso come un coleottero acquatico o una biscia d’acqua che nuotavano oppure il ranuncolo acquatico che cresce sullo specchio del laghetto. Proprio per quanto riguarda le piante Nembrini ha ricordato che nel terreno i semi aspettavano solamente di ritrovare le condizioni ideali per crescere, ovvero il riaffioramento in superficie dell’acqua: «Specie rare sono così tornate al loro splendore».

Materiale di scavo riutilizzato sul posto

Concretamente, i lavori, collaudati da parte dalle autorità cantonali, hanno permesso di «ripristinare alcuni ambienti umidi tipici del piano di Magadino quali cariceti, prati acquitrinosi con alte erbe e canneti lacustri e terrestri», ha spiegato Nembrini. «Ma si è lavorato anche sul ripristino di ambienti acquatici con vegetazione natante quali siti idonei alla riproduzione degli anfibi». Sono poi stati valorizzati i margini del bosco ed è stata attuata «un’efficace lotta alle neofite invasive utilizzando tecniche innovative». Altri interventi hanno comportato «la bonifica di depositi abusivi di materiale agricolo presenti nell’area protetta». Per quanto riguarda gli inerti relativi in particolare ai lavori di costruzione dell’autostrada, quelli non pericolosi per l’ambiente sono stati sotterrati, formando una collina con un prato estensivo, ovvero gestito in modo non intensivo, secondo ritmi naturali che favoriscono la biodiversità. Altri interventi hanno poi permesso «la rivitalizzazione delle formazioni forestali a ontano nero e frassino maggiore con una reidratazione delle superfici (recupero di lanche e abbassamenti del terreno), la riconversione dei robinieti, l’impianto di nuove siepi e l’inserimento di strutture di rifugio per la piccola fauna terrestre, quali pietraie e cataste di legna». Da notare che tutto il materiale di scavo è stato valorizzato sul posto, ripristinando in particolare una sponda del laghetto: «In questo modo il bilancio di materiale è stato neutro, ovvero non è stato necessario ricorrere alla discarica, salvo per i materiali non riutilizzabili».

‘Nessun conflitto con l'agricoltura’

Presente all’incontro con i media anche Lorenzo Besomi, a capo dell’Ufficio della natura e del paesaggio del Dipartimento del territorio (che ha coordinato i lavori): «Oltre a recuperare un ottimo livello di biodiversità, questo progetto permette di riconnettere aree protette attraverso interconnessioni di superfici, senza entrare in conflitto con l’altra vocazione del Piano che è l’agricoltura». Infatti «i lavori – ha aggiunto Antognini – non hanno impedito agli agricoltori nelle strette vicinanze di proseguire con le loro attività». Agricoltori con cui «sviluppiamo progetti sinergici» e che vengono coinvolti nell'ambito degli interventi naturalistici, per trovare soluzioni di compromesso ragionevoli. E i risultati si vedono, visto che i rapporti con il mondo agricolo sembrano essere molto buoni.

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