Decine di segnalazioni di Unia a suo carico, sanzioni per decine di migliaia di franchi. Il sindacalista Poretti: ‘Quintessenza della mala edilizia’
«Premesso che spetta agli inquirenti stabilire la causa esatta del crollo che il 9 ottobre ha ucciso un operaio sul cantiere di via Ghiringhelli a Bellinzona, sin d’ora diversi elementi risultano importanti per ricostruire sia la situazione in cui la tragedia si è consumata, sia il clima generale che da troppo tempo e troppo spesso caratterizza il settore edile in Ticino». Apre il libro Matteo Poretti, sindacalista di lungo corso per Unia. Attualmente si occupa del settore industriale, ma per diversi anni l’edilizia è stato il suo pane quotidiano denunciando sovente situazioni incresciose. La sua esperienza professionale oggi si lega a doppio filo con la denuncia a mezzo stampa, di cui abbiamo riferito il 10 ottobre, fatta dai familiari e dagli amici più stretti di Mile Bojic, il muratore padre di famiglia deceduto sotto i detriti. A breve contribuiranno all’inchiesta depositando una denuncia circostanziata in Procura per omicidio. Dito puntato contro l’impresa di Roveredo, specializzata in casseratura e muratura, per la quale il 44enne lavorava da appena un mese e mezzo, perdendo la vita al suo secondo giorno di presenza sul cantiere. Critiche – in primis quella di pressare oltremodo le squadre di operai affinché lavorino il più rapidamente e sodo possibile per abbattere i tempi di consegna – che coincidono col corposo dossier sindacale formato su di essa.
Poretti spiega che la ditta mesolcinese è fra le più apprezzate da molte imprese edili ticinesi «che ne sfruttano gli elevati ritmi di produzione e il cinismo con il quale impone alla propria forza lavoro rischi professionali oltre il consentito, condizioni molto redditizie in un contesto dove impera la guerra dei prezzi». Attualmente conta una cinquantina di dipendenti che sottostanno al Contratto nazionale mantello, ma non – grazie al domicilio societario nel Moesano – a quello ticinese più restrittivo in materia di lavoro con intemperie (vietato) e il sabato (al massimo cinque giornate all’anno per operaio, su richiesta). Ditta che ha accumulato nel tempo decine di segnalazioni di Unia. Nata a Basilea, successivamente si è trasferita in altri Cantoni d’Oltralpe, accasandosi poi con una filiale nei Grigioni a fine 2009 ma operando quasi esclusivamente in Ticino, almeno già dal 1996.
Ti-Press
Il cantiere di Bellinzona dove il 9 novembre è morto l’operaio Mile Bojic
Segnalazioni che sono state inviate alla Commissione paritetica cantonale per l’edilizia ticinese, soprattutto per violazione del divieto di lavorare in caso d’intemperie: «Tante, troppe le volte in cui siamo stati sollecitati a intervenire da operai costretti a lavorare sotto la pioggia e talvolta anche sotto la neve. In questi casi il rischio d’infortunio cresce notevolmente, ma evidentemente i tempi di consegna sono rispettati meglio di altre imprese concorrenti. Purtroppo nonostante le nostre ripetute segnalazioni e le multe inflitte dalla Commissione paritetica, per un ammontare che stimo per il Ticino in alcune decine di migliaia di franchi, la ditta di Roveredo non ha mai cambiato atteggiamento generale, a parte alcuni correttivi intervenuti grazie al fatto che pian piano, col passare degli anni, i suoi dipendenti si sono affiliati al sindacato. La sua presenza e la sua attività continuano a essere tollerate perché utili a un’edilizia dove l’abbattimento dei tempi di consegna è diventato un fattore centrale nel compensare i margini altrimenti erosi dalla guerra dei prezzi. Da questo punto di vista, la ditta di Roveredo è la migliore. O la peggiore…».
Matteo Poretti, sindacalista di Unia
Qui s’inserisce il discorso della sanzione adeguata: «Non lo è – evidenzia Matteo Poretti – se la singola multa, come nel caso specifico, ammonta a qualche migliaio di franchi a fronte di un patrimonio ultramilionario del gruppo elvetico di riferimento, e in particolare del suo facoltoso titolare. Il quale deve il proprio successo proprio al fatto di bruciare la concorrenza con prezzi concorrenziali dovuti ai tempi di consegna più brevi. Il risultato lo vediamo: operai sì pagati nel rispetto del Contratto nazionale mantello, ma sfruttati e sottoposti a maggiori rischi di subire infortuni. Cifre non ufficiali, ma degne di fede, indicano una trentina di casi nel solo 2019. Un tasso d’infortuni totalmente fuori norma. Come sindacato seguiamo la trafila assicurativa e legale di quattro lavoratori impiegati per quella ditta e rimasti invalidi: dopo averli sfruttati, li ha scaricati. Ecco perché non mi sorprende quanto accaduto nel cantiere di Bellinzona sebbene, ribadisco, la causa esatta sia ancora tutta da chiarire».
Già, cosa si sa di preciso sulle cause o concause dell’incidente, oltre al tragico bilancio di un operaio morto e un altro ferito? Stando a informazioni raccolte dal sindacato – non confermate in questa fase iniziale dell’inchiesta – vi sono più versioni, alcune divergenti ma anche in parte convergenti. La prima, come riferito nelle ore successive al crollo, indica che alcuni operai in quel momento stavano scasserando in prossimità della scala; erano insomma intenti a togliere i casseri di legno nei quali s’inserisce il calcestruzzo liquido che poi di solidifica. La scasseratura, in base alle norme Sia, va fatta per quel preciso tipo di lavorazione attorno al 25°-28° giorno dopo la colata; le stesse voci indicano che sarebbe avvenuta al 21° giorno per accelerare i tempi di consegna. Ciò che potrebbe aver generato o anche solo favorito – il condizionale è d’obbligo – un’instabilità della struttura. Una seconda versione indica che alcuni operai stavano posando, in prossimità della scala, un nuovo cassero per alzare una parete. Una terza versione, l’ultima, precisa che per inserire questo nuovo cassero, o per toglierlo, essendosi incastrato a causa dello spazio esiguo si sarebbe operata una pressione o una trazione con l’ausilio di un macchinario da cantiere, andando così a incidere sulla statica della scala. In questa terza versione c’è poi chi parla (anche qui senza conferme ufficiali) di un’armatura metallica un po’ misurata. O meglio: l’esperienza di chi ha seguito da vicino le fasi di cantiere fa ritenere che la progettazione indicasse una quantità di tondini di ferro piuttosto contenuta rispetto alla norma. Errore della ditta di posa del ferro? Errore dei progettisti? Una scala pensata e/o fatta al risparmio? Materia per il Ministero pubblico.
«Fatto sta – riattacca Matteo Poretti – che il crollo c’è stato e che la vera causa, o concause, si trovano fra le pieghe di queste tre o quattro versioni messe insieme. Non esito a parlare della quintessenza della mala edilizia. Tutto ciò, insieme all’ampia casistica d’incidenti e infortuni sui cantieri, e stiamo parlando di circa 3’000 casi in Ticino nel solo 2020 senza contare gli infortuni catalogati da imprese senza scrupoli come ‘non professionali’, rafforza la convinzione sindacale secondo cui il problema riguarda il sistema nella sua interezza. Detto altrimenti, se da una parte c’è un ramo, come abbiamo visto, che è notoriamente problematico a causa del comportamento scellerato di una ditta come quella per la quale lavorava l’operaio morto a Bellinzona, dall’altra, a monte e a valle, ossia dalla committenza alla progettazione fino alle varie fasi esecutive, riscontriamo una concatenazione di situazioni problematiche vieppiù generate da una forte pressione sui prezzi. La quale, ribadisco, si traduce nel tentativo di accorciare i termini di consegna aumentando i ritmi di lavoro e giocando così sulla pelle dei lavoratori». Il tutto, conclude Matteo Poretti, «sorretto da un’impalcatura legale ipergarantista per le imprese».
Sulla stessa lunghezza d’onda Dario Cadenazzi, responsabile del settore edilizia di Unia Ticino e Moesa. A livello generale sottolinea che la fretta «gioca sempre un ruolo negativo sui cantieri: i lavoratori sono stufi, segnalano sempre più spesso situazioni di pericolo. Il loro è un grido disperato che dal profilo sindacale dovrebbe ottenere continuità. In particolare, quello della sicurezza è e deve rimanere un tema prioritario a tutti i livelli, impresari compresi. Purtroppo quanto accaduto a Bellinzona è la prova che il messaggio non passa. È la goccia che fa traboccare il vaso. È la prova, al netto delle cause che saranno accertate dall’inchiesta, che talvolta si lavora male e sotto pressione». Un campanello d’allarme dovrebbe suonare in occasione degli appalti pubblici: «Offerte del 20-30% più basse della media – sottolinea in effetti Cadenazzi – celano lavori sottocosto laddove i margini di risparmio sono in realtà pochissimi se non nulli. Se si può forse capire l’azienda che ‘entra’ saltuariamente sottocosto per non perdere quote di mercato, non si può accettare che questo avvenga con una certa regolarità. Così facendo si aprono le porte alla speculazione, con ricadute negative su salari, sicurezza e anche qualità del lavoro finito». Sintomatico, conclude Dario Cadenazzi, quanto successo nel cantiere ferroviario del Ceneri, dove grazie al coraggio dimostrato da alcuni operai assistiti da Unia la Procura ha avviato un’inchiesta penale incentrata sullo sfruttamento della manodopera. A quasi quattro anni di distanza si attende ancora il risultato.