Ocst e Unia hanno presentato la giornata di mobilitazione nata dallo scontento in merito alle trattative per il rinnovo del Contratto nazionale mantello
«Di solito non facciamo proclami minacciosi, ma a questo giro è opportuno che gli impresari costruttori si rendano conto che senza i lavoratori edili in Svizzera non si costruisce nulla. Proveremo a farglielo capire con una prima serie di manifestazioni, ma se dal 1° gennaio ci sarà davvero un vuoto contrattuale come prospettano, le agitazioni sui cantieri non saranno più sporadiche come queste, ma diventeranno la quotidianità». Sono parole che fanno tremare i cardini su cui poggia la pace del lavoro quelle usate da Paolo Locatelli, vicesegretario del sindacato Ocst, per presentare la giornata di protesta del settore edile indetta per lunedì prossimo, 17 ottobre, a Bellinzona. Una mobilitazione, seguita nei giorni successivi da eventi analoghi in altri cantoni, organizzata per fare pressione sulla Società svizzera degli impresari costruttori (Ssic) che da febbraio è in trattative con i lavoratori edili e i loro sindacati per il rinnovo del Contratto nazionale mantello (Cnm). Contratto che disciplina i salari e le condizioni di lavoro degli edili in Svizzera e che a fine anno giungerà a scadenza. A due mesi e mezzo dalla data clou, e dopo la quinta tornata di trattative, ancora non si profila una soluzione, anzi. «Il problema è che quando abbiamo iniziato a parlare di ricette sui temi di interesse comune ci siamo trovati di fronte a profonde divergenze con pretese inaccettabili avanzate dalla parte padronale», giudica Locatelli.
Le richieste dei lavoratori in vista del rinnovo del Cnm sono la diminuzione dell’orario di lavoro settimanale, la regolazione del tempo di viaggio fino ai cantieri, delle direttive chiare in caso di intemperie, una maggior protezione per i lavoratori ultra 50enni e un aumento di 260 franchi al mese dello stipendio. «I lavoratori edili si trovano spesso confrontati con giornate che durano anche fino a 10 ore con talvolta lunghi spostamenti – considera Locatelli –. Da qui la richiesta di diminuire il carico settimanale, anche per una maggior sicurezza rispetto a infortuni e malattie. Ma gli impresari costruttori hanno messo sul tavolo una proposta di pianificazione dei turni assurda». L’idea della Ssic per l’organizzazione dell’orario è di non più allestire dei calendari di lavoro annuali come avviene ora, ma di ripartire in modo libero e flessibile le 2’112 ore annuali con una pianificazione con breve preavviso che contempla anche giornate di lavoro con zero ore da recuperare in altri momenti. Tradotto, per Locatelli, «significa che gli impresari vogliono introdurre il lavoro su chiamata – stigmatizza –. Inoltre chiedono che le ore di cantiere possano raggiungere le 48 settimanali con la possibilità di lavorare fino a 12 ore giornaliere. E questo è assolutamente vergognoso». Almeno per due ragioni, espone il sindacalista Ocst: «Così facendo dal punto di vista economico gli impresari costruttori scaricano sulle spalle dei lavoratori il proprio rischio aziendale, quello di non poter lavorare per motivi tecnici, meteorologici o organizzativi. E poi con questo tipo di approccio i lavoratori si troverebbero a dover essere a disposizione del datore di lavoro addirittura per metà effettiva della giornata senza calcolare gli spostamenti». Situazione che, «oltre a venir vietata dalla legge, non permetterebbe più l’organizzazione di una vita familiare e sociale – integra il discorso Dario Cadenazzi, responsabile del settore edilizia del sindacato Unia –. Inoltre nel contesto attuale di guerra dei prezzi questo favorirebbe una concorrenza sleale». E qui Cadenazzi fa rientrare il discorso delle intemperie: «Tutti ricordiamo i lavoratori costretti nei cantieri a 36 gradi questa estate. La risposta degli impresari costruttori al problema è inserita nel calderone della maggior flessibilità. Ma c’è da chiedersi quale impresa senza delle regole vincolanti metterebbe al primo posto la salute dei lavoratori davanti a dei termini di consegna che significano concorrenza e denaro. La flessibilità sarebbe indirizzata completamente agli aspetti produttivi».
Anche rispetto alla tutela dei lavoratori "anziani", la ricetta della Ssic viene criticata: «Li si vorrebbe rendere appetibili facendo cadere il vincolo della qualificazione. Ovvero diminuendo il loro stipendio di 700/800 franchi al mese, affermando che con 4’500 franchi in Svizzera si può vivere tranquillamente ed è meglio che essere licenziati. È una provocazione», dice Cadenazzi. Per quanto riguarda la questione salariale, «alla nostra richiesta che equivale alla compensazione del rincaro più un aumento dei salari reali dell’1%, gli impresari si lamentano dell’aumento dei costi, ma questi riguardano anche i lavoratori e le famiglie».
Per Cadenazzi si potrebbe dire che siamo di fronte alla «solita liturgia pre-scadenza del contratto, con i lavoratori che dicono una cosa e la parte padronale un’altra. Ma stavolta c’è un cambio di paradigma nell’approcciarsi alle trattative», nota il sindacalista Unia, che argomenta spiegando come nel corso del 2021, a seguito di sondaggi sindacali condotti tra i lavoratori per conoscere le loro aspettative, «gli impresari costruttori hanno iniziato a diffondere informazioni sul divieto di accesso dei sindacalisti in cantiere, a parlare di rivendicazioni folli senza ancora sapere quali fossero e a tematizzare in modo chiaro la possibilità di un vuoto contrattuale. Inoltre c’è chi ha dichiarato che il contratto attuale andrebbe snellito». Questo per Cadenazzi «significa avere un’idea di fondo di voler togliere dei diritti ai lavoratori. Oltretutto non stanno mancando azioni di pressione da parte dei datori di lavoro per dissuadere i dipendenti a partecipare a una mobilitazione legittima e democratica». A cospetto di quella che è definita «una prova di forza da parte padronale», in caso non ci fosse un cambio di passo, anche Cadenazzi avverte: «In futuro la pace sul lavoro e il divieto di turbativa sui cantieri potrebbero essere messi in discussione». Detto altrimenti: sciopero.