Jenisch, sinti e manouches desiderano mostrare alla popolazione che sono persone comuni che partecipano alla vita quotidiana come gli altri cittadini
«Sono concittadini che hanno il desiderio di farsi conoscere». Nadia Bizzini, collaboratrice esterna del Dipartimento delle istituzioni (Di) sulla tematica ‘nomadi’, spiega a ‘laRegione’ che è proprio la comunità jenisch, sinti e manouches a voler «incontrare la popolazione» durante i cinque giorni di porte aperte previste da domani all’11 settembre all’area di sosta ubicata in zona Seghezzone a Giubiasco. In particolare «vogliono differenziarsi da altri gruppi culturali (come i rom) con i quali hanno in comune solo il fatto di essere una comunità semi-nomade e di essere stati perseguitati».
In Svizzera vivono circa 35mila persone di origine jenisch che nei secoli si sono imparentati con sinti e manouches. Sono cittadini svizzeri a tutti gli effetti e sono riconosciuti dalla Confederazione come una minoranza nazionale proprio perché sono presenti sul territorio svizzero da prima che esistesse lo Stato elvetico. «Per essere riconosciuti come minoranza nazionale – sottolinea Bizzini –, bisogna dimostrare di avere un legame storico con il territorio. Inoltre, costituiscono una vera e propria comunità che parla una lingua, lo jenisch, anch’essa riconosciuta come idioma nazionale». Una comunità di cui solo il 10% conduce una vita semi-nomade: dalla primavera all’autunno viaggiano infatti per tutta la Svizzera, fermandosi solo pochi giorni in apposite aree di passaggio. D’inverno, invece, rimangono fermi in apposite aree di sosta o in dimore fisse. Mentre la grande maggioranza di questa comunità è diventata sedentaria.
Resta il fatto che essendo una comunità riconosciuta, «la Confederazione prevede l’obbligo di mettere a disposizione aree allestite a questi concittadini», rileva Bizzini. E in Ticino questo è il caso al Seghezzone di Giubiasco, dove generalmente sosta una dozzina di roulotte all’interno delle quali vivono in media quattro persone. Un’offerta che per il momento soddisfa la comunità jenisch, sinti e manouches, visto che «in altri Cantoni vengono allestite aree di sosta per nomadi stranieri, ma non per quelli svizzeri, generando anche proteste». Inoltre, in Ticino vi è anche la volontà di migliorare ulteriormente la situazione: quella del Seghezzone è infatti un’area di sosta provvisoria, mentre l’obiettivo del Dipartimento delle istituzioni è quello di trovare una soluzione condivisa con il Comune di Bellinzona per metterne a disposizione una permanente. «Attualmente dispongono solo dell’allacciamento all’acqua corrente, mentre in un’area permanente sarà anche possibile garantire soprattutto elettricità e servizi igienici; nonché evitare la prassi burocratica per ricevere il consenso (tra i diversi enti coinvolti) nel mettere a disposizione il terreno per i nomadi svizzeri». Le opzioni sul tavolo in vista di un’area permanente sono attualmente due: o il Seghezzone – dove però il Cantone sembra avere altri piani, ovvero la realizzazione di due nuove scuole – o un terreno nelle vicinanze di proprietà dell’Ufficio federale delle strade situato lungo l’autostrada.
Come spesso accade i tempi per arrivare a una soluzione definitiva sono piuttosto lunghi, ma il fatto che vi sia la volontà da parte delle autorità locali di mettere a disposizione un’area di sosta permanente, viene apprezzato dai nomadi svizzeri: «Sono molto contenti dell’approccio che vi è in Ticino nei loro confronti». Di questa questione si discute anche durante l’annuale incontro con rappresentanti del Comune di Bellinzona, del Cantone e degli jenisch. Un incontro che testimonia quindi l’interesse da parte di jenisch, sinti e manouches a dialogare con le autorità per trovare delle soluzioni. Come del resto si cerca di fare con qualsiasi comunità, grande o piccola, presente sul territorio. Si tratta di «una chiacchierata cordiale che serve anche a consolidare i rapporti», conferma Bizzini.
Un approccio che non sempre caratterizzerebbe invece i rom, più restii ai contatti esterni alla loro comunità e con caratteristiche culturali diverse da quelli degli jenisch. Sia i rom, sia gli jenisch, sinti e manouches «vogliono essere riconosciuti come comunità ben precise, non essere confusi tra di loro. E men che meno essere definiti zingari: una parola inventata con una chiara connotazione negativa». Ritengono «necessaria questa differenziazione anche per non essere accusati ingiustamente a causa di comportamenti non riconducibili alla loro comunità jenisch». Insomma, durante questi cinque giorni di porte aperte «i nomadi svizzeri vogliono invitare la popolazione locale a conoscerli, mostrando che sono persone comuni che partecipano alla vita quotidiana come qualsiasi altro cittadino». Sarà quindi anche un’occasione per «sfatare alcuni pregiudizi (non per forza negativi)» spesso ancora presenti nella popolazione e difficili da sradicare.
Ricordiamo che questo evento è sostenuto e promosso dal Dipartimento delle istituzioni, dalla Città di Bellinzona, dalla Fondazione Assicurare un futuro ai nomadi svizzeri, dall’Ufficio federale della cultura e dall’associazione J.M.S. (Jenisch, Manouches e Sinti svizzeri). Oggi è prevista una mostra fotografica e uno spettacolo teatrale; domani l’apertura ufficiale con le autorità di riferimento; venerdì una discussione aperta sul tema ‘nomadismo’ e un concerto; sabato una presentazione della comunità jenisch e una serata musicale; e, infine, domenica un tavolo di discussione pubblica e una presentazione dei nomadi svizzeri, così come uno spettacolo teatrale. L’entrata è libera e sul posto sarà possibile consumare pietanze e bevande in un’atmosfera spontanea e conviviale.