Alla sbarra una donna colpevole di aver provocato la ferita a un amico. La difesa si batte per una considerevole riduzione della pena proposta dall’accusa
Una serata di eccessi nei bar tra alcol e droga, la discussione nell’appartamento nel cuore della notte e la grave ferita rimediata dalla vittima. Durante l’inchiesta non è stato possibile stabilire con esattezza con quale oggetto l’imputata abbia colpito l’amico, raggiunto all’occhio destro – scrive nell’atto d’accusa il procuratore pubblico Pablo Fäh – da una bottiglia o da un boccale di vetro. Il tutto per futili motivi: lei, in preda all’ira e alle sostanze assunte, sospettava che l’amico – il quale qualche ora prima era tornato a casa da solo – le avesse sottratto della cocaina. Pesanti le conseguenze per l’uomo: tre operazioni (in attesa della quarta) e la quasi completa perdita dell’uso dell’occhio destro (oggi vede solo ombre), con limitate possibilità di un miglioramento significativo. La donna si trova in carcere dal 17 settembre 2021 (i fatti sono avvenuti durante la notte tra il 10 e l’11 settembre) ed è comparsa oggi alla sbarra di fronte alla Corte delle Assise criminali. L’accusa principale nei suoi confronti è quella di lesioni gravi. Giudicando la colpa estremamente grave, per un fatto che avrebbe tranquillamente potuto avere conseguenze peggiori, il pp ha chiesto una pena detentiva di quattro anni, senza opporsi a una sospensione per favorire un trattamento psicoterapeutico che la donna ha ammesso di necessitare, al fine di far fronte alle sue dipendenze da alcol e stupefacenti e al disturbo della personalità che tende a rendere eccessive le sue reazioni. «Non essermi fatta aiutare prima, a livello psicologico ed emotivo», ha risposto la donna quando il giudice Mauro Ermani le ha chiesto il motivo che l’ha portata in carcere. «Mi vergogno e non mi riconosco: è davvero difficile sentire fino a che punto sono arrivata. Avrei dovuto farmi aiutare prima, ma non ne sono stata capace. E questo mi ha portato a fare del male a persone care che credevano in me». Dell’accaduto la donna ha detto in aula di non ricordare nulla. Ciò che per l’accusa è solo una strategia difensiva.
Quando la terza persona presente nell’appartamento si è allontanata con la vittima per portarla in ospedale, in preda alla collera la donna ha danneggiato l’abitazione: ha rotto vetri, lanciato dalla finestra lampade e tavolini da salotto e sradicato dalla parete il termoventilatore. Il mobilio gettato dalla finestra ha colpito una macchina parcheggiata. Uscita dalla casa la donna ha rincarato la dose colpendo la stessa vettura con un martello. Stessa sorte è toccata a un’altra macchina. Secondo l’accusa – che configura il reato di ripetuto danneggiamento – ha in totale cagionato danni per più di 20mila franchi.
«La vita del mio assistito è stata stravolta – ha affermato durante la sua arringa l’avvocata Sofia Padlina, rappresentante dell’accusatore privato –. Ha perso il lavoro, oggi è inabile al 100%, e non avendo la patente ha cambiato casa per essere più vicino all’ospedale dal momento che per i prossimi quattro anni dovrà fare delle visite mensili. Fatica non poco ad arrivare a fine mese. La sua – ha continuato la patrocinatrice della vittima – è una vita scandita dalle visite, vissute con l’ansia e la preoccupazione che la situazione peggiori ulteriormente». Quanto al rapporto tra i due, l’uomo, ha continuato l’avvocata, «era un buon amico dell’imputata: lui sapeva ascoltarla e sostenerla. E mai si sarebbe aspettato un gesto tanto violento».
Nell’aula penale di Lugano è stato ripercorso il passato a dir poco difficile della donna (incensurata prima dei fatti in questione) fin da quando era bambina: solitudine, abbandono dei familiari e influenze negative a livello di droga. Un aspetto di cui il pp ha chiesto di tenere conto nella commisurazione della pena. Su questo punto si è associata la difesa sostenuta dall’avvocata Elisabeth Britt, secondo la quale non era intenzione dell’imputata fare del male all’amico e per questo ha chiesto la configurazione del reato di lesioni semplici. «In quel momento è emerso il suo disturbo della personalità, e alcol e droga hanno profondamente influito. Un’azione dettata dall’impulsività: non aveva i mezzi per contrastare quello stato emotivo e psicofisico. Si è sentita tradita, e questo ha riattivato angosce del passato». Per l’avvocata Britt, in favore della sua assistita la Corte deve tenere conto anche della media scemata imputabilità dovuta al disturbo della personalità e dei nove mesi di carcere già scontati. «La prigione le ha fatto aprire gli occhi: ora si sente cambiata e vuole cambiare vita, abbandonando alcol e droga e cercando di riavvicinarsi alla sua famiglia». La difesa ha chiesto una considerevole riduzione della pena proposta dall’accusa, chiedendo la libertà condizionale per procedere con un trattamento psicoterapeutico. La sentenza sarà pronunciata nei prossimi giorni.