Il patriziato di Camorino, proprietario dello stabile, non rinuncia al progetto ma torna alla carica e a ottobre l'assemblea rivoterà sul credito
Un ricorso blocca la ristrutturazione della capanna Cremorasco sui monti di Camorino ma il locale patriziato non intende rinunciare al progetto e torna alla carica. «È vero, abbiamo commesso alcuni errori formali – riconosce Pietro Ghisletta, presidente del patriziato di Camorino – ma non ci sentiamo di certo nel totale torto visto che nelle precedenti gestioni del patriziato il senso di appartenenza e volontariato sovrastavano la burocrazia e forse, se certe energie impiegate per allestire un ricorso, fossero state investite per il patriziato sarebbero state più utili. Ma non rimaniamo con le mani in mano, in autunno l’assemblea patriziale sarà chiamata a rivotare sul medesimo progetto e auspichiamo di poter in seguito iniziare con i lavori, fiduciosi anche del fatto di avere a disposizione tutti i mezzi finanziari necessari». La capanna necessita di importanti lavori di manutenzione e il patriziato, proprietario dell’edificio, si è mobilitato in questi ultimi quattro anni nella ricerca di fondi per poter sostenere finanziariamente le opere, quantificate in 233mila franchi. Fondi che sono stati raccolti, grazie ai sussidi che sono stati concessi dal Comune di Bellinzona (20mila franchi a fondo perso), dall’Ufficio per lo sviluppo economico (92mila franchi), dall’Aiuto al fondo patriziale (60mila), dalla Pro Camorino (30mila a fondo perso e 20mila a tasso agevolato). A carico del patriziato rimangono 15mila franchi, di cui 4mila di spese legali sostenute finora. Una raccolta fondi andata a buon fine, il principale scoglio sembrava dunque essere superato. Ma il 3 febbraio 2020 un membro dello stesso patriziato interpone ricorso in Consiglio di Stato contro le decisioni del 3 dicembre 2019 dell’Assemblea patriziale di Camorino che aveva approvato lo stanziamento del credito per la ristrutturazione completa della capanna.
La sentenza del Consiglio di Stato dello scorso 28 aprile accoglie il ricorso riconoscendo errori formali commessi dall’Ufficio patriziale e dalla sua Commissione della gestione di allora. In particolare la Commissione della gestione ha sbagliato la data di un rapporto: “trattasi di una chiara violazione di una formalità essenziale, la cui conseguenza è l’annullamento dell’avversata decisione assembleare patriziale”, si legge nelle motivazioni della sentenza del Consiglio di Stato. Il 26 novembre 2019 infatti, la Commissione ha trasmesso all’Ufficio patriziale una prima versione datata 25 novembre 2019 del suo rapporto senza però le firme dei suoi membri. Dopo richiesta del presidente del patriziato Pietro Ghisletta di procedere ad alcune modifiche, la Commissione ha proceduto ad allestire una nuova versione del rapporto. Ritenendo non mutata la sostanza del contenuto, è stata però mantenuta la data del 25 novembre 2019, e la nuova versione del rapporto, firmata da tutti e tre i membri della Commissione della gestione, è stata consegnata al Presidente dell’Ufficio patriziale il giorno dei lavori assembleari (3 dicembre 2019). È stata la versione consegnata il 3 dicembre 2019 a essere letta ai cittadini patrizi presenti in seduta. “Appare manifesta la violazione del termine di sette giorni per il deposito del rapporto della Commissione della gestione, poco importa che tra la prima e la seconda versione del documento non vi siano state sostanziali modifiche”, si legge nella sentenza del Governo. “Determinante è per contro il fatto che, nei termini di legge, ai cittadini patrizi non è stata data la possibilità di esaminare preventivamente il rapporto commissionale poi letto durante i lavori assembleari che, oltre a essere obbligatorio, ha quale scopo di approfondire l’oggetto così da permettere poi ai cittadini patrizi in seduta plenaria di potersi determinare con la necessaria cognizione di causa”, viene spiegato nella sentenza.
Il progetto di ammodernamento della capanna ha subìto una battuta d’arresto che però non sembra scoraggiare l’Ufficio patriziale di Camorino che proprio nelle scorse settimane ha scritto al ricorrente comunicandogli di accettare la decisione di prima istanza per due motivi. In primo luogo perché non vogliono ulteriormente rallentare i lavori e quindi intendono riproporre già a ottobre all’Assemblea patriziale il messaggio uguale al precedente “visto che il ricorso non contempla nessuna nota in merito al progetto”, viene spiegato nella lettera recapitata all’oppositore. Inoltre “non desideriamo investire in cause legali ulteriori risorse finanziarie, peraltro preziose per il patriziato e per rispetto dei patrizi che con molta generosità ci sostengono”. L’Ufficio patriziale invita inoltre il ricorrente a intraprendere la via del dialogo costruttivo “sempre nell’unico interesse del nostro patriziato”. Pietro Ghisletta spiega che in questi ultimi quattro anni il patriziato si è attivato nella raccolta fondi «e da un patriziato che faceva fatica a stare a galla, oggi disponiamo di una certa liquidità che ci permette di apportare i lavori alla capanna». E gli interventi di manutenzione e sistemazione da eseguire non mancano; si parte dalla sostituzione del tetto (attualmente ci sono infiltrazioni d’acqua), alla sistemazione dei muri interni e delle canne fumarie. È necessaria inoltre la sostituzione della stufa a legna esistente, della porta d’entrata e delle porte interne; il rifacimento del bagno e la sostituzione di apparecchi sanitari; la sostituzione della cucina e il rifacimento dell’impianto elettrico e dell’impianto a gas per l’acqua calda. «Questo ricorso ha rallentato i lavori ma non ci perdiamo d’animo: il ricorrente ha soltanto rinviato il progetto», conclude il presidente del patriziato.