Il responsabile del centro diurno di Ingrado a Bellinzona parla degli effetti secondari negativi della pandemia sugli utenti
Gli effetti secondari del coronavirus si fanno sentire pesantemente anche su chi soffre di dipendenza da alcol. La scorsa primavera, in occasione della prima ondata pandemica, come da disposizioni cantonali il Centro diurno di Ingrado di Bellinzona con i suoi laboratori ha dovuto chiudere per un mese e mezzo. Dal 19 marzo al 4 maggio gli operatori del centro hanno però comunque mantenuto i contatti con gli utenti con colloqui telefonici giornalieri e nelle situazioni maggiormente a rischio di ricadute e con particolari problemi psichiatrici, sono state effettuate visite a domicilio. «È stato un periodo molto duro per i nostri utenti», rileva Luca Sacchi, responsabile del centro diurno Ingrado di Bellinzona. «Diversi di loro, stando a casa tutto il giorno, hanno aumentato considerevolmente il consumo di alcol, che in alcuni casi è addirittura quadruplicato», aggiunge. Alcuni utenti hanno infatti confessato di essere tornati in quel periodo a consumare alcolici su tutto l’arco della giornata. Frequentare i laboratori del centro diurno, aperti dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 17 (tutti i giorni dell’anno, tranne i festivi), permette a chi soffre di alcolismo di rimanere lontano dalla sostanza. Partecipare alle attività permette loro di creare una routine e di dare una struttura alla giornata, ma anche di impegnare la mente in attività pratiche, tenendoli così lontani da sostanze che creano dipendenza.
Nella seconda ondata pandemica il centro non è mai stato chiuso e attualmente la struttura continua a offrire il proprio servizio ma a un numero ridotto di utenti. Per garantire le norme igieniche e di distanza sociale, il numero delle persone che possono frequentare giornalmente i laboratori del centro di Bellinzona è stato dimezzato, da 25 circa possono essere presenti al massimo 12 utenti contemporaneamente.
In totale sono quaranta gli utenti provenienti da tutto il Ticino, iscritti ai programmi offerti da Ingrado a Bellinzona. A causa delle restrizioni, sul numero di persone presenti è stato necessario fare una scelta. «In questo periodo – spiega Sacchi – le persone a rischio, ovvero coloro che soffrono di malattie pregresse, non frequentano il centro per evitare contagi». E tra gli utenti, sono diversi quelli affetti da patologie piuttosto importanti. Con queste persone, per mantenere sostegno e vicinanza, vengono intrattenuti colloqui telefonici quotidiani e in caso di problemi gli operatori di Ingrado possono effettuare interventi a domicilio.
Il responsabile della struttura spiega che nei laboratori di Bellinzona sono state adottate da mesi tutte le strategie di protezione necessarie. Le attività si svolgono in piccoli gruppi, le presenze sono organizzate in modo da avere pochi utenti per laboratorio, durante il pranzo si siede una sola persona per tavolo e alcuni utenti mangiano in alcuni locali dell’ex scuola elementare di Ravecchia in modo da garantire le distanze sociali. Strategie di protezione che vengono attuate in aggiunta alla già frequente igienizzazione delle superfici, al lavaggio ripetuto delle mani degli utenti, alla presa della temperatura corporea all’ingresso e all’uso della mascherina obbligatorio in tutti gli spazi e nei furgoni, dove al massimo possono salire quattro persone per volta. Infine, giornalmente tutti gli utenti vengono informati e sensibilizzati sulla situazione sanitaria e sulle misure di protezione da attuare.
Avere il sostegno di chi ci è passato è essenziale per trattare l’alcolismo e prevenirne la ricomparsa. E i numeri delle persone che richiedono questo aiuto dalla seconda ondata hanno subìto un'impennata. Così ha spiegato Diana (nome fittizio ndr.), ex alcolista e organizzatrice degli incontri dell’Associazione Alcolisti anonimi Svizzera italiana, alla 'Regione'.
Come fate a dare sostegno alle persone con problemi di alcolismo in questo periodo complicato?
Durante il lockdown di marzo-aprile siamo stati completamente chiusi, quindi abbiamo creato una chat su Whatsapp e ci siamo dati sostegno così. Alcuni gruppi hanno successivamente promosso Zoom. Finché si può ci ritroviamo poi in presenza, in gruppi da cinque persone. Lo facciamo perché c’è stata un’enorme richiesta. Noi veterani cerchiamo di far venire soprattutto chi ha appena iniziato, perché per loro è fondamentale. Purtroppo, a livello cantonale sono soltanto altri due i gruppi che possono continuare a riunirsi di persona, perché molti spazi a nostra disposizione non permettono di assicurare la giusta distanza sociale. Va poi specificato che diversi responsabili sono un po’ in là con l’età, e quindi non se la sentono di venire e mettersi a rischio.
Funziona questo supporto a distanza, virtuale?
Se è possibile, mantenere il ritrovo in presenza è essenziale. Però funziona, perché deve funzionare. Non abbiamo alternative.
C’è stato un aumento delle richieste di supporto rispetto al periodo pre-pandemia? E rispetto alla prima ondata?
Sicuramente con la seconda ondata abbiamo osservato un aumento importante. Le richieste di aiuto sono ancora più numerose rispetto ai primi mesi della pandemia.
Avete riscontrato più ricadute durante le varie chiusure?
Sì, però per quel che riguarda l’ultimo mese è difficile dire se le ricadute siano state dovute alle nuove restrizioni o al periodo festivo. Le feste sono sempre un po’ più dure per le persone che soffrono di dipendenza da alcol.
Il fatto che bar e ristoranti siano chiusi va a sfavorire o favorire l’alcolismo?
Per un alcolista non cambia niente. Non si ferma davanti a nulla, berrà comunque. Anzi, stando in solitudine, anche di più.
In questo ultimo anno chi ha problemi di dipendenza da alcol, dovendo stare a casa, ha vissuto più a stretto contatto con la propria famiglia. Vi è stato un impatto sui rapporti familiari?
L’alcolista tende a nascondere e negare la sua dipendenza. E il fatto di poter uscire e bere il 'bianchino' al bar facilita questo processo. Questa situazione ha invece fatto emergere i problemi di alcolismo nelle famiglie. Problemi che già esistevano, ma che ora gli altri membri del nucleo familiare notano maggiormente. Infatti, nella maggior parte dei casi sono loro a chiamarci e chiederci aiuto. I giovani invece hanno in un certo senso maggiore coraggio, chiamano loro stessi.
La popolazione confederata, causa Covid, fuma ancora di più. È quanto rilevato da uno studio recentemente pubblicato da Addiction Suisse, che definisce la pandemia e il relativo confinamento come un contesto di fragilizzazione per fumatori e fumatrici. Gli oltre 2000 partecipanti allo studio, di età adulta e provenienti da tutte le regioni linguistiche, hanno reso conto delle loro abitudini pre, durante e post lockdown in fatto di consumo di nicotina. Durante i mesi di marzo, aprile e maggio il 15.1% degli amanti della sigaretta ha fumato più del solito e solo l’8% ha diminuito l’uso di tabacco. Oltre il 17% ha tentato di smettere, di cui solo il 4.6% con successo. Parte di quest’ultimi ha in seguito ricominciato, puntualizza nel suo rapporto Addiction Suisse. Le persone che hanno mostrato di aver paura di contrarre il virus in relazione alla loro dipendenza hanno inoltre manifestato una maggiore volontà nel voler smettere di fumare. I fattori più fortemente correlati con un aumento marcato nella consumazione di tabacco sono la giovane età (18-39 anni), una cattiva salute psichica o/e fisica e la deteriorazione delle relazioni nel o/e al di fuori del nucleo familiare. Secondo i risultati della ricerca, gli uomini sono meno propensi ad aumentare i valori del consumo in reazione al contesto pandemico.