Dopo l'interruzione di ieri a causa del crollo emotivo dell'imputato nonché marito della giovane eritrea deceduta, il processo è ripreso questa mattina
È ripreso questa mattina il processo a carico del 39enne eritreo accusato di aver ucciso la moglie 24enne gettandola dal balcone di una palazzina in via San Gottardo a Bellinzona la sera del 3 luglio 2017. Dopo la sospensione di ieri pomeriggio dovuta al crollo psicologico dell'imputato, oggi l'uomo si sente meglio e il dibattimento ha così potuto riprendere alle ore 9.
Il giudice Marco Villa, presidente della Corte delle Assise criminali, ha quindi continuato l'interrogatorio del 39enne il quale, ricordiamo, si professa innocente sostenendo di aver cercato di salvare la giovane dal suicidio. Villa si è focalizzato sui possibili motivi del gesto estremo della donna: «Perché avrebbe dovuto suicidarsi?», ha chiesto il giudice all’imputato, il quale ha replicato di non essersi mai immaginato che la donna potesse arrivare a tanto. «Se avessi saputo che intendeva suicidarsi, avrei fatto di tutto per evitarlo», ha detto l'uomo. Il giudice ha quindi ricordato come da alcune testimonianze di persone che conoscevano la 24enne (tra le quali il suo medico curante) non emerga nessun pensiero suicida. Testimonianze che descrivono la giovane come una persona solare e intelligente, che voleva continuare gli studi in Ticino dove aveva il desiderio di integrarsi meglio, interessandosi così ad usi e costumi locali. «Questi testimoni non possono sapere nulla di com'era lei nella vita di coppia», ha affermato l'imputato ricordando il «carattere esplosivo» della donna tra le mura di casa e i motivi delle continue discussioni: l'epatite B che la donna aveva contratto e l'aborto alla quale si era sottoposta. Due elementi che, secondo l'accusa sostenuta dal procuratore pubblico Moreno Capella, avevano fatto crescere in lui il sentimento della gelosia, dal momento che collegava la malattia a rapporti sessuali extraconiugali e pensava inoltre che la moglie potesse rimanere di nuovo incinta. «Continuava a telefonare a destra e sinistra», ha poi aggiunto l'uomo, senza tuttavia precisare quali dubbi alimentava in lui tale fatto. A questo proposito, il giudice Villa ha ricordato un interrogatorio in cui l'uomo aveva invece ammesso di essere turbato dall'idea che la moglie potesse tradirlo.
Si è poi passati alla perizia effettuata dall’Istituto di medicina legale dell’Università di Berna, le cui conclusioni ritengono verosimile la tesi dell’uccisione. Nell'ambito dei lanci di un manichino dallo stesso balcone dal quale è precipitata la 24enne, è emerso che, anche nell'ipotesi in cui l'uomo fosse riuscito a trattenere la moglie per il polso mentre quest'ultima si trovava a cavalcioni sul parapetto sul terrazzo, le simulazioni hanno dimostrato che il corpo della donna non avrebbe mai raggiunto la velocità necessaria per coprire la distanza (poco più di tre metri) tra il balcone e il luogo in cui è stata trovata la vittima. Luogo, ha aggiunto Villa sempre riferendosi alla perizia ordinata dal pp, che è invece stato raggiunto con il lancio o la spinta del manichino. Il giudice Villa ha infine ricordato le escoriazioni rinvenute sulle braccia dell'imputato che lascerebbero pensare a un tentativo di difesa da parte della moglie.
Della perizia di parte, affidata all’Istituto di scienze forensi di Milano, parlerà l’avvocato difensore Manuela Fertile durante la sua arringa. Ricordiamo che gli esperti lombardi ritengono credibile la versione del suicidio.
Il processo continuerà oggi pomeriggio e domani, con la sentenza che dovrebbe essere pronunciata settimana prossima.