Dal pg Pagani decreto d'abbandono per l'ipotesi di omicidio colposo; riconosciute solo due violazioni. I familiari chiederanno di riaprire l'inchiesta
Decreto di abbandono per l’accusa di omicidio colposo. Lo ha firmato il procuratore generale Andrea Pagani nei confronti dei tre medici che seguivano la 16enne di Castione morta sotto un treno alla stazione di Taverne il 21 settembre 2017 mentre stava rientrando a casa da scuola. I dottori scagionati sono due operatori del Servizio medico-psicologico (Smp) del Sopraceneri che avevano seguito la ragazza dal gennaio 2017 sino al decesso, nonché il medico di famiglia che tre giorni prima le aveva prescritto uno sciroppo antitosse nonostante ne conoscesse l’incompatibilità con l’antidepressivo assunto da metà luglio. Incompatibilità – secondo il rapporto tossicologico – in grado di alterare lo stato psico-fisico. Crisi che tuttavia secondo il pg – in base a una perizia svolta da due specialiste – non c’è stata, concludendo per il suicidio. Ma i familiari non credono alla volontarietà del gesto e alla Corte dei reclami penali (Crp) chiederanno la riapertura dell’inchiesta con l’esecuzione di audizioni che il pg ha sin qui ritenuto di non fare respingendo le sollecitazioni specifiche rivoltegli.
Una possibile teste è una studentessa che frequentava la scuola della vittima. Quella sera si trovava con lei sullo stesso treno partito da Lamone: in un messaggio vocale pervenuto ai familiari racconta di aver visto la 16enne rannicchiarsi, tremare, telefonare a qualcuno e quindi alzarsi di scatto e scendere da sola alla fermata successiva di Taverne, dov’è poi morta. Sono passati due treni prima che si mettesse accanto ai binari e venisse travolta dal terzo, quello che avrebbe dovuto riportarla a casa. Una dinamica che secondo i familiari denoterebbe la presenza di uno stato confusionale e non di un’intenzione suicidale. Ciò che sarebbe spiegabile con gli effetti collaterali dell’assunzione simultanea di antidepressivo e sciroppo per la tosse. Infatti, sempre nel messaggio vocale, la stessa studentessa riferisce quanto una docente avrebbe spiegato ai compagni di scuola il giorno successivo alla tragedia, e cioè di aver chiesto alla 16enne come mai si comportasse in modo strano da alcuni giorni e di aver ricevuto in risposta la motivazione dei farmaci assunti. Sempre riguardo a possibili testimonianze, la madre lancia un appello a chiunque possa aiutarla a trovare giustizia.
Il capitolo farmaci è fondamentale per comprendere la vicenda e l’agire dei medici prosciolti. Dopo alcuni mesi molto difficili – originati da dissidi familiari sulla frequentazione di un maggiorenne e sfociati in due ricoveri e nell’assegnazione al centro Pao di Mendrisio dove l’Arp di Giubiasco l’aveva collocata contro il parere della madre – la 16enne a inizio luglio aveva potuto far rientro a casa. Tre settimane prima, l’ansiolitico somministratole dall’Smp era stato sostituito in ospedale da un antidepressivo (necessario a curare una sindrome medio-grave che i familiari ritengono fosse del tutto inesistente) e si era optato per un costante monitoraggio psicologico che tuttavia, sempre secondo i familiari, non sarebbe stato messo in atto. Il tutto orientato a un graduale ritorno alla normalità. In effetti sia i familiari sia i medici interrogati concordano sul fatto che la giovane avesse riacquistato fiducia e progettualità, tanto da iscriversi a una nuova scuola che da inizio settembre frequentava con motivazione. Proprio per questo motivo la madre esclude il suicidio, nonostante nei mesi precedenti la figlia abbia manifestato segnali in tal senso.
Quanto allo sciroppo, la sua interazione con l’antidepressivo può creare crisi serotoninergiche con compromissione del sistema neuro vegetativo e neuro muscolare, perdita di lucidità e confusione, ipotermia, ipertesione, tremori e altro. Gli stessi tremori notati sul treno prima che scendesse a Taverne? Quel che è certo – sostiene la perizia – è che l’interazione fra i due farmaci non aumenta il rischio di suicidio. Ciò che induce il magistrato a scagionare i tre medici dall’accusa di omicidio colposo, pur ritenendo che si sia trattato di suicidio. Tuttavia egli ravvisa due violazioni delle regole dell’arte medica: la prima per la somministrazione (prima all’ospedale di Locarno e poi dall’Smp) dell’ansiolitico Lyrica non indicato per minorenni; la seconda nei confronti del medico di famiglia per averle prescritto lo sciroppo incompatibile con l’antidepressivo. Il pg ritiene che il medico abbia comunque “agito in modo illecito”. La colpa “è di una certa gravità” per aver innescato il rischio di una crisi serotoninergica. Per questi motivi a nessuno dei tre medici viene riconosciuta la riparazione del torto morale, mentre quello di famiglia dovrà versare 3’000 franchi a copertura parziale delle spese peritali.