Perizia li scagiona: chiusa l’inchiesta per omicidio colposo sul decesso di una 16enne in stazione a Taverne. Ma la madre chiede di sentire una testimone
Tre medici sotto inchiesta per omicidio colposo, nei confronti dei quali sembra prospettarsi un decreto di abbandono al termine dell’inchiesta condotta dal procuratore generale Andrea Pagani. Ora conclusa, era stata avviata per far luce sul decesso di una sedicenne di Castione investita da un treno alla stazione di Taverne il 21 settembre 2017. Una morte inizialmente ‘cassata’ come suicidio, ma per la quale la madre della giovane – come riportato nell’ultimo numero del bimestrale ‘L’Inchiesta’ – non si dà pace. Tanto da essersi costituita accusatrice privata e aver sollecitato ancora recentemente gli inquirenti – come appreso dalla ‘Regione’ – affinché raccolgano la testimonianza di un’amica della vittima. Testimone che quella sera di due anni fa verso le 17 vide la giovane stare molto male sul treno partito da Lamone in direzione di Bellinzona: un apparente attacco di panico che l’avrebbe costretta a scendere a Taverne dove poco dopo è stata travolta dal convoglio successivo.
L’inchiesta coordinata dal pg Pagani vede imputati il medico di famiglia, lo psichiatra responsabile del Servizio medico-psicologico (Smp) del Sopraceneri e una dottoressa che vi ha lavorato otto mesi sino a fine 2017. Una perizia indica che non è ravvisabile alcuna loro responsabilità. Interrogati nell’estate 2018, soltanto il medico di famiglia si è avvalso della facoltà di non rispondere. È stato lui a prescrivere alla giovane paziente lo sciroppo antitosse Bexin nonostante i possibili effetti collaterali se assunto in concomitanza con alcuni psicofarmaci. Infatti la sedicenne da oltre un anno era in cura psico-farmacologica (cosa di cui il medico di famiglia era al corrente) a seguito di uno stato ansioso-depressivo causato da vicissitudini familiari.
Sullo sfondo, per cominciare, c’è il suicidio del padre avvenuto quando lei aveva 4 anni: un evento tragico di cui lei prende coscienza dopo diverso tempo tramite una lettera d’addio trovata casualmente in casa. La ragazza sì dà delle colpe, vede incrinarsi il buon rapporto sempre avuto con la madre e inizia a procurarsi tagli sulle braccia. Gesti di autolesionismo presi sul serio dai familiari che decidono di farla seguire dalla psicologa che collabora col pediatra di fiducia. Il percorso è positivo. Ma all’età di 15 anni ha i primi rapporti sessuali. Dapprima con un 19enne, poi con un 25enne. La madre, subodorando qualcosa, verso Natale 2016 scopre tutto sul cellulare della figlia e le proibisce di rivedere il giovane che ha 10 anni più di lei. Fra le due inizia un periodo molto teso. La madre denuncia il 25enne e la Procura apre un’inchiesta per atti sessuali con fanciulli; ma a sua volta il giovane accusa il patrigno di violenze fisiche e sessuali sulla ragazza (accuse poi cadute). La giovane a quel punto fa una scelta di campo: interrompe i contatti col 25enne perché tiene di più alla propria famiglia. Ma non sta bene, tanto che il 20 gennaio 2017 viene trovata a scuola piangente e tremante sul davanzale di una finestra aperta. Il 1° febbraio viene interrogata nell’ambito dell’inchiesta sul 25enne e due giorni dopo finisce all’ospedale per tagli alle braccia e comportamenti suicidali. D’intesa con la madre l’Smp la ricovera per approfondire il quadro psicopatologico e proteggerla, ma nei primi due giorni di ricovero lei tenta due volte di autolesionarsi tagliandosi. Dice di non voler tornare a casa descrivendo la situazione familiare come fortemente opprimente e ansiogena.
Inizia la somministrazione di ansiolitici. Il 21 febbraio 2017 il capo Smp chiede all’Autorità regionale di protezione (Arp) di valutare il collocamento temporaneo in un’apposita struttura per trattare le cause del disagio psichico e avviare un percorso medico-psicologico coinvolgendo anche la famiglia. Il 23 febbraio l’Arp sente madre e figlia e decide il collocamento al centro Pao di Mendrisio contro il parere della famiglia desiderosa di rivederla a casa e disposta ad accettare solo un sostegno psicologico esterno. L’Arp caldeggia inoltre un percorso di terapia familiare, condizione ritenuta imprescindibile per una corretta risoluzione dei problemi con la figlia. Un percorso che madre e patrigno decidono infine di affrontare, tanto che durante i tre mesi di Pao si prospetta un graduale ritorno a casa della figlia grazie anche a un accompagnamento pedo-psichiatrico e psicoterapia ambulatoriale. Tutto sembra volgere al meglio...
Nella primavera 2017 con l’impegno di tutti – figlia, famiglia ed enti coinvolti – le cose s’indirizzano sulla giusta strada. Ed è quello che emerge leggendo i rapporti dell’Arp. Tuttavia dai verbali d’interrogatorio dei due medici Smp emerge che nel mese di maggio, in pieno periodo Pao, la situazione psicopatologica si è molto aggravata dopo il ritorno da un congedo di un weekend con la famiglia. Tanto da rendersi necessario il ricovero di una settimana all’ospedale Civico di Lugano dopo essersi di nuovo tagliata e aver ingerito otto pasticche di ansiolitico Lyrica prescritto dall’Smp. Farmaco che dopo quell’episodio a inizio giugno 2017 viene sostituito, sempre su decisione dei medici Smp, con un dosaggio minimo di Fluoxetine (più noto come Prozac) affiancato da psicoterapia, condizione questa fondamentale per ridurre il rischio di suicidio nei giovani pazienti, rischio indicato dai compendi medici e dal foglietto informativo e noto ai medici Smp.
La fase critica viene superata e la giovane secondo i medici Smp riacquista progettualità, riprende gli studi, non si autolesiona più e non subisce effetti collaterali dallo psicofarmaco. Entrambi i medici, interrogati, difendono quella scelta ritenendo il Fluoxetine, affiancato da costante monitoraggio, una buona scelta per i minori in caso di disturbo depressivo medio-grave. La sua somministrazione viene anche comunicata al medico di famiglia. Il quale tuttavia il 18 settembre – tre giorni prima del decesso – prescrive lo sciroppo Bexin la cui assunzione simultanea col Fluoxetine incrementa il rischio di sindrome serotoninergica. Si tratta di una sindrome acuta che si può manifestare in maniera immediata alterando il comportamento e compromettendo il sistema neuro-vegetativo-muscolare. “Il paziente – spiega il capo Smp Sopraceneri interrogato – può perdere lucidità e sentirsi confuso. Con ipotermia, ipertensione, tremori e altri sintomi anche un profano si accorge che la persona in preda a una crisi simile non sta bene”. E proprio durante una di queste crisi – sostiene la madre – la ragazza sarebbe finita sotto il treno. Il medico di famiglia che ha prescritto lo sciroppo si è avvalso della facoltà di non rispondere.