Carlo Chatrian gioca l’ultima partita con Marco Solari, in un Festival che gli ha permesso di crescere come direttore artistico e di farsi un nome internazionale.
Carlo Chatrian gioca l’ultima partita con Marco Solari, in un Festival che gli ha permesso di crescere come direttore artistico e di farsi un nome internazionale. Come una promessa del calcio smette una maglia portata da titolare per sei anni per andare a giocare in una big, che nel mondo del cinema hanno nome Cannes, Berlino, Toronto, Venezia. Un cambio importante, una scelta di vita, basti pensare al numero spropositato, varie migliaia, di giornalisti da tutto il mondo con cui si troverà a confrontarsi. La Germania è anche una potenza cinematografica e Berlino una metropoli piena di sale, con una grande Cineteca, con un pubblico immenso che non è solo la sera in Piazza Grande, ma che è tutto il giorno in decine di sale. Un altro mondo rispetto a Locarno.
Leggendo il programma, si prova a comprendere quale sia il gioco che Chatrian ha voluto per questo suo addio e subito salta all’occhio la stranezza di una competizione raccolta in soli quindici titoli e segnata da un film fagocitante come ‘La flor’ di Mariano Llinás, lungo 808 minuti, che verrà presentato in due montaggi diversi. Per Chatrian, lo sappiamo, è più importante la visione che il film. Però questo film invade lo spazio di altri in competizione e questo non aiuta il lavoro della critica. Forse il direttore ha chiara l’idea della morte del lavoro critico, del proliferare dei “mi piace” che hanno cancellato la riflessione. Ma a Berlino dovrà porre più attenzione al lavoro e alle opinioni della critica, visto che sono stati i critici a far prima traballare e poi cadere il potente Dieter Kosslick di cui Chatrian eredita la poltrona.
Marco Solari resta amletico riguardo al prossimo direttore. Un successo vero lui l’ha già colto, riportando la città di Locarno a sentire proprio il Festival. Certo, altro ancora c’è da fare per arrivare al suo agognato Locarno 75, traguardo che il presidente ora si trova a ripensare con un nuovo direttore. Chi sarà la nuova guida artistica è scelta fondamentale proprio per l’esistenza di questo Festival: in un mondo che corre più veloce dei direttori, Locarno non deve restare fermo né accontentarsi. Tutti i Festival stanno cambiando, compreso Cannes che fa i conti con il suo mercato enorme. In questo momento sarebbe forse necessario il ritorno di un Olivier Père, il direttore che più ha avuto il senso di Locarno. Oppure l’arrivo di chi ha seguito la sua scia a Cannes, personaggi come Frédéric Boyer o Édouard Waintrop, non legati ai giochi di potere elvetici ma capaci di leggere da campioni il cinema di oggi.
Per il resto il pubblico si ritrova con una bella retrospettiva e una Piazza Grande da scoprire, con dei punti fermi come gli americani ‘The Equalizer 2’ di Antoine Fuqua con Denzel Washington, ‘Blaze’ di Ethan Hawke e ‘BlacKkKlansman’ di Spike Lee (visto a Cannes), e come la serie ‘Coincoin et les Z’Inhumains’ di Bruno Dumont. Tra i film in Piazza anche l’animazione ‘Ruben Brandt, Collector’ di Milorad Krstic, insieme a due film ritrovati, a lacerti della retrospettiva e a qualche filmaccio “popolare” che tradisce proprio il senso della parola “popolare”. Comunque, nell’insieme una Piazza destinata a piacere.
Poi Locarno ha sempre due momenti forti, i Cineasti del Presente e la Settimana della Critica, senza dimenticare Open Doors, momenti dedicati a quel cinema di ricerca e scoperta per cui il Festival era nato. In questo Chatrian senza portare grosse novità è stato fedele a quel dettato, forse senza troppa originalità ma il suo compitino lo ha fatto bene. Non gli basterà a Berlino, ma per ora è solo il futuro.