Ancora una volta la politica ticinese appare completamente staccata dalla realtà socioeconomica che invece sarebbe chiamata a tutelare
Uno statistico, serve uno statistico, c’è mica uno statistico a bordo? Il Preventivo del Cantone è in dirittura di arrivo (salvo colpi di scena sarà “cotto” oggi poco dopo l’ora di pranzo) e prevede tagli complessivi per circa 130 milioni e un disavanzo di 96 milioni di franchi. Ma quel che davvero occorrerebbe sarebbe qualcuno in grado di radiografare la frattura che separa la politica ticinese dalla realtà socioeconomica in cui dovrebbe essere inserita.
A onor del vero dei bravi tecnici ci sono: quel che manca però è un’immagine più nitida della situazione. Di che tipo? Non sarebbe male, per esempio, disporre di una statistica che permetta di conoscere la composizione dei cataloghi elettorali suddivisi per fasce di reddito. Solo così si potrebbe comprendere come mai in un Cantone con un salario mediano inferiore del 20% rispetto al resto della Svizzera, con le peggiori prospettive di impiego, con gli aumenti dei premi di cassa malati più marcati, con uno dei tassi di rischio povertà (fonte: Eurostat) più alti del Continente; come mai in questo contesto il dibattito parlamentare sul Preventivo 2025 si sia incentrato sulla necessità di sottostare ad artificiosi vincoli di bilancio, proprio nell’anno in cui entrerà in vigore la riduzione dell’aliquota sugli utili delle persone giuridiche, e soltanto qualche mese dopo aver accolto in votazione popolare altri sgravi fiscali a favore delle persone fisiche particolarmente facoltose.
Delle due l’una: se la maggioranza della classe politica ticinese crede alla vecchia favola del ‘trickle-down’ – e fosse un minimo coerente –, dovrebbe avere l’onestà di tenersi buono il deficit sui conti senza piangere miseria, almeno finché i presunti “frutti” dello sgocciolamento matureranno. Se invece ci si ritrova a promuovere la promiscuità fiscale e al contempo un ferreo conservatorismo finanziario, vuol dire che si è in malafede. Così, l’alleggerimento impositivo per i grandi contribuenti e per le aziende smette di essere un mezzo – di, quantomeno, dubbia efficacia – per trasformarsi in un fine: quello di perpetuare privilegi e immobilismo sociale. Una classica forma di dominio oligarchico “legittimata” attraverso lo strumento democratico per antonomasia: il diritto di voto. Diritto esercitato però soltanto dai Cittadini, non da tutta la popolazione residente. Ecco perché sarebbe fondamentale capire da che posizione di reddito si vota: permetterebbe di meglio contestualizzare un’espressione della volontà popolare che finisce per stravolgere il concetto di “rappresentatività”, di cui dovrebbe essere fedele emanazione.
Infatti è soprattutto ai significati che bisognerebbe fare attenzione, e un po’ meno ai significanti. Anche perché in queste tre estenuanti giornate piene di nulla, in Gran Consiglio è stata inscenata una becera manipolazione dei principi della linguistica saussuriana, proprio nella discussione sul budget da assegnare all’accompagnamento dei bambini con delle neurodiversità. Facendo totale astrazione dall’evoluzione dei bisogni della collettività, è stato detto che non si intendeva ridurre i fondi per la pedagogia speciale – infine salvi grazie a un emendamento accolto da una larga e anomala maggioranza – ma “correggere” la tendenza. E in generale è stato ribadito a più riprese che qui nessuno sta “tagliando” la spesa pubblica, ma soltanto “contenendo” la sua crescita. I numeri mostrano altro però, mentre le ridicole contorsioni semantiche non riescono a nascondere l’inadeguatezza di una classe politica completamente autoreferenziale e staccata dal tessuto socioeconomico che invece sarebbe chiamata a tutelare.