La ridistribuzione tra cantoni non premia il Ticino che riceve ‘solo’ 86,5 milioni (al Vallese ne vanno 884). Il professor Rossi: ‘Gli sgravi non aiutano’
La perequazione finanziaria intercantonale – ovvero il sistema di solidarietà che impone ai cantoni economicamente più facoltosi di sostenere quelli in difficoltà – funziona bene e non deve essere quindi modificata con interventi radicali. A dirlo è il Consiglio federale, in un rapporto che è stato messo oggi in consultazione. A essere scontento è però il Ticino, che da questo strumento riceve complessivamente ‘solo’ 86,8 milioni di franchi. Altri cantoni hanno infatti introiti ben più sostanziosi. Il Vallese, ad esempio, ne riceve 884. Il tema è tra le priorità della deputazione ticinese alle Camere federali ed è stato anche al centro dell’incontro, lo scorso 7 febbraio, tra deputazione e Consiglio di Stato. “Siamo fortemente penalizzati. Vogliamo che la situazione cambi e porteremo delle proposte”, aveva dichiarato a margine della riunione il presidente del governo ticinese Raffaele De Rosa. Deputazione e Consiglio di Stato hanno intenzione di agire attraverso due canali. Il primo, la revisione delle leggi che sono alla base dei meccanismi di calcolo della perequazione. Il secondo, più legato alla ‘Realpolitik’ e alla ricerca di un consenso con i colleghi degli altri cantoni. Per capire come mai il Ticino riceva molto meno di altre realtà nonostante una situazione finanziaria complessa abbiamo intervistato Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friborgo.
Professor Rossi, partiamo dalla base: cos’è la perequazione intercantonale e a cosa serve questo strumento?
La perequazione intercantonale è il risultato del processo che ha portato a creare la Svizzera come Confederazione. Una ‘Willensnation’, per usare un termine in tedesco, nata con la volontà di tenere insieme cantoni con realtà diverse, che si aiutano vicendevolmente. Il suo scopo principale è garantire la coesione nazionale. I cantoni hanno caratteristiche anche molto differenti tra loro, come la conformazione del territorio, la vicinanza alla frontiera e l’età media della popolazione. Ogni cantone ha la sua realtà. Per stare insieme bisogna fare quindi in modo che i cantoni dove viene creata una maggiore ricchezza aiutino quelli che dal profilo finanziario sono un passo indietro. È una garanzia per l’unità della nazione. Un principio che esiste anche in altri Paesi, come la Germania e gli Stati Uniti.
Quali sono le caratteristiche che determinano chi ha diritto a beneficiare della perequazione intercantonale e chi, invece, vi deve contribuire?
La Confederazione calcola la capacità finanziaria di ogni cantone, basandosi sul reddito imponibile e la sostanza delle persone fisiche e gli utili imponibili delle imprese nel territorio cantonale. Ci sono però anche altri fattori presi in considerazione, come l’età media della popolazione e la conformazione del territorio. I cantoni con molte valli hanno diritto a beneficiare della perequazione. Vivere e fare impresa in una regione montagnosa è infatti più difficile, e questo viene riconosciuto.
Per il 2024 il Vallese riceve 880 milioni di franchi, Friborgo 617. Al Ticino ne sono versati complessivamente poco più di 86. Come mai questa differenza così ampia?
Le ragioni sono diverse e si collegano a quanto detto prima. Il Vallese ha una conformazione territoriale con valli più problematiche per fare impresa rispetto al Ticino. E questo incide. C’è poi l’elemento dei lavoratori frontalieri. In Ticino sono 80mila, molti di più che in altri cantoni. Il loro stipendio viene considerato nel calcolo che la Confederazione fa per stimare la forza economica dei cantoni, anche se poi una parte di questi stipendi ‘sfuggono’ e non vengono spesi sul territorio. Il Ticino non ha quindi la possibilità, anche da un punto di vista fiscale, di beneficiare di questi salari come avviene invece per chi è residente.
È quindi giustificata la lamentela che arriva dal Ticino e che chiede di rivedere il sistema di calcolo?
Il Ticino può reclamare in parte a giusta ragione che riceve meno di altri cantoni. La classe politica ticinese dovrebbe però prima farsi un esame di coscienza e analizzare in che misura la situazione economica a sud delle Alpi è frutto delle scelte prese a livello cantonale. La pressione al ribasso sulla fiscalità diretta che il Ticino vuole promuovere, sgravando le imprese dalle imposte sugli utili per cercare di attirarle sul territorio o abbassando le imposte alle persone molto benestanti, quelle che guadagnano più di 300mila franchi l’anno, ha delle conseguenze negative. Lo Stato avrà infatti meno risorse fiscali e farà fatica a finanziare la spesa pubblica, che con il Decreto Morisoli e il freno al disavanzo andrà a diminuire. Ci sarà quindi un impatto negativo sulle famiglie bisognose e sul loro potere d’acquisto e il rischio è di avviare un circolo vizioso. Meno potere d’acquisto, meno guadagni per le imprese, meno entrate fiscali per lo Stato. Quindi prima di gridare a Berna ‘dateci più soldi’, occorre fare una riflessione autocritica da parte della politica ticinese.
Ma c’è quindi una possibilità di rivedere la perequazione, riducendo il divario tra quanto riceve il Ticino e quello che viene versato ad altri cantoni?
È una questione aperta. Esiste infatti un vincolo di bilancio per le risorse a disposizione della perequazione intercantonale. Se da un lato c’è chi ne beneficia e vorrebbe avere più risorse, dall’altro chi vi contribuisce ritiene di fare già abbastanza per aiutare i cantoni che sono in difficoltà. Stiamo vedendo come il federalismo fiscale sta diventando sempre più competitivo e meno collaborativo. I cantoni, anziché collaborare e sostenersi a vicenda, tendono a farsi concorrenza fiscale tra loro. Se si possono ‘rubare’ grandi contribuenti lo fanno senza troppi problemi e senza tenere in considerazione la coesione nazionale.
A criticare la comunicazione del Consiglio federale che, come detto, ritiene “ben funzionante” la perequazione è stato oggi il Partito liberale radicale ticinese. “Ribadiamo come l’attuale sistema presenti delle evidenti storture nei confronti del Canton Ticino, di cui vengono ignorate le particolarità e che risulta penalizzato per decine di milioni di franchi rispetto a realtà perfettamente paragonabili con la nostra”, scrive il Plr in una nota. “L’attuale sistema è decisamente insoddisfacente perché non tiene adeguatamente conto delle peculiarità del nostro territorio, in particolare quella di essere una regione di frontiera confinante con un’area metropolitana di oltre 10 milioni di abitanti confrontata anche con un forte flusso di frontalieri, con il calcolo che non tiene conto di tutti gli oneri collegati ed è uno dei fattori che penalizza il Ticino, perché i frontalieri non consumano sul nostro territorio, facendo sfumare una quota importante del Pil”.