Si torna a parlare di autogestione in Gran Consiglio. Bocciata la richiesta di coinvolgere e di impegnare il Consiglio di Stato nel cercare una soluzione
C’era una volta a Lugano il centro sociale Il Molino. Fino allo sgombero e all’abbattimento dello stabile F ordinato dalla maggioranza del Municipio nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2021. La questione pareva fosse rimasta sotto le macerie, ma ieri il tema è tornato a tenere banco in Gran Consiglio. La maggioranza dei deputati ha respinto la mozione targata Udc, sottoscritta dal rapporto, seppur mitigato, di un’altra maggioranza, quella della Commissione sanità e sicurezza sociale. La mozione chiedeva di coinvolgere nel tema il Consiglio di Stato affinché si impegnasse per identificare e mettere a disposizione strutture adeguate.
Un esito diverso del voto sarebbe stato, per certi versi, sorprendente. Dapprima, perché si è giunti a questa discussione a tre anni e mezzo dall’intervento muscoloso, per il quale è partita pure un’inchiesta penale che il procuratore generale Andrea Pagani ha dovuto riaprire dopo la sentenza della Corte dei reclami penali. Poi, perché nella lunga e animata discussione, la gran parte degli interventi dei deputati, invece di soffermarsi a soppesare i contenuti delle richieste formulate nel rapporto, ha puntato il dito contro le manchevolezze all’ex Macello, soprattutto dal profilo legale. Eppure, in fondo, al Cantone veniva chiesto di impegnarsi, assieme alla Città di Lugano, per creare le condizioni necessarie affinché eventuali promotori di realtà autogestite potessero operare.
Questo non necessariamente con gli autonomi che hanno traghettato l’esperienza autogestita a Lugano negli ultimi anni fino allo sgombero. Anche perché, di fatto, quegli interlocutori dovrebbero scegliere dei loro rappresentanti, cosa che nel passato recente non hanno mai voluto fare. Di conseguenza, appare quanto mai improponibile che possano accettare di sedersi al tavolo assieme a quello stesso Stato che ha ordinato lo sgombero e l’abbattimento di uno degli edifici dell’ex Macello. Quegli edifici, lo ricordiamo, vennero occupati ‘provvisoriamente’ con il consenso delle autorità, tramite la convenzione sottoscritta da Consiglio di Stato, Città di Lugano e associazione Alba nel dicembre 2002. Una convenzione che non venne però mai rispettata, tanto è vero che l’impegno a cercare e trovare una soluzione definitiva restò sulla carta.
In un paio di interventi di deputati in Gran Consiglio si è richiamato e sottolineato la buona riuscita dell’esperienza della Tour Vagabonde che per tre mesi ha animato Cornaredo, con proposte culturali alternative che hanno riscosso successo, nel rispetto delle regole e con il sostegno finanziario della Città. Ma questa è un’altra storia. La Straordinaria ha potuto vedere la luce anche grazie ai contatti privilegiati con la Divisione eventi e congressi di Lugano e senza porsi quale antagonista politico, come invece ha sempre fatto, dando parecchio fastidio, il Molino. La strada per arrivare a una Rote Fabrik ticinese o luganese è costellata anche da inevitabili conflitti con le autorità, come capitò a Zurigo negli anni Ottanta con i moti giovanili repressi violentemente dalla polizia. Comunque, dietro le quinte e senza allertare i rappresentanti politici cantonali e comunali, il Cantone, in parte, sta già facendo quanto richiesto dalla mozione. Come? Cercando, assieme alla Città, una sede definitiva per l’associazione Idra.