Tra gli elettori di Trump ha vinto la voglia di spingersi oltre, entrare nell’inesplorato, rischiare il tutto per tutto. Non è poi questa l’American Way?
“Coloro che cercheranno di trovare uno scopo in questa narrazione saranno processati; coloro che cercheranno di trovarvi una morale saranno banditi; coloro che cercheranno di trovarvi una trama saranno fucilati”. Mark Twain ci aveva avvisati. E, anche se potrebbe sembrare, non stava parlando delle elezioni appena vinte da Donald Trump, ma del suo “Le avventure di Huckleberry Finn”, che inizia proprio con questa avvertenza.
Si tratta di un anti-romanzo di formazione, di un libro amorale, un’irriverente canzonatura dell’America del tempo, che è poi in larga parte l’America di oggi, almeno quella che sta esultando dalla fine dello spoglio elettorale. Nell’introduzione per Feltrinelli al libro di Twain, lo scrittore Giuseppe Culicchia – oltre a ricordare che per molti, compresa Joyce Carol Oates, è il vero ‘Grande romanzo americano’ – spiega che “La storia di Huck Finn è anche una grande satira sulla democrazia americana e sugli americani, in genere timorati di Dio, ma sempre felici di impiccare un negro”.
Il libro di Twain uscì nel 1884, l’anno in cui lo storico Frederick Jackson Turner si laureò all’Università del Wisconsin. Turner è l’uomo che mise nero su bianco la cosiddetta ‘Tesi della frontiera’, quella secondo cui sono stati la migrazione verso il West e tutti i problemi incontrati lungo la strada dai pionieri ad aver fatto l’America e gli americani, plasmandone lo spirito. Quel mito fondativo, ulteriormente romanzato in libri e film e tramandato di generazione in generazione, ha contribuito alla creazione di un immaginario e di un modo di intendere la vita che è peculiare, solo americano. E riassumibile in: azione-rischio-individualismo. Insomma, quando le cose si mettono male bisogna pensare per sé e agire in fretta, perché c’è sempre un nuovo spazio da conquistare per ricominciare. Basta solo mettersi in movimento. Tanti americani l’hanno fatto davvero, tra cui Twain, andato a Ovest a cercare fortuna, senza trovarla, nel 1861, anno di nascita di Turner.
Ora che però le nuove terre sono finite, che oltre il West c’è solo il mare. Anzi, le ville dei ricchi sul mare. E migliaia di disperati spingono dal Messico, per entrare, dividere quegli spazi, non solo fisici, ma anche economici, un pezzo d’America ha cercato nelle urne la nuova frontiera, qualcuno in grado di muovere e smuovere qualcosa, col rischio di provocare terremoti. Un rischio che chi non ne può più è evidentemente disposto ad accollarsi.
Dopo il voto – ribaltando lo sguardo sui democratici e sulla loro inazione – lo ha detto, alla sua maniera, anche Bernie Sanders, il socialista più famoso di tutti gli Stati Uniti, non proprio un sostenitore di Trump: “Non dovrebbe sorprendere granché che un Partito democratico che ha abbandonato la classe operaia ora scopra che la classe operaia l’ha abbandonato. Mentre la leadership democratica difende lo status quo, il popolo americano è arrabbiato e vuole il cambiamento. E ha ragione”. Sarà un caso, ma nei sei Stati del New England abitati da quegli americani che, secondo le teorie di Turner, sono rimasti più europei – perché non sono figli della frontiera – ha vinto Harris.
Un’altra frase di Mark Twain, mutuata dalla Bibbia (e diventata anche il titolo di un libro di consigli per investitori) è: “La mancanza di denaro è la radice di tutti i mali”. In un Paese dai prezzi impazziti, dove non si riescono a estinguere i mutui né a mettere insieme il pranzo con la cena, a molti è rimasta una sola frontiera esplorabile. È pericolosa, piena di insidie, velenosa e imprevedibile come la corsa al West. Si chiama Donald Trump.