Dopo sette anni alla direzione generale della radiotelevisione svizzera, Gilles Marchand racconta obiettivi raggiunti e fallimenti
Oggi è l’ultimo giorno di Gilles Marchand alla guida della Ssr: alla vigilia del passaggio di testimone a Susanne Wille, nominata lo scorso maggio senza troppe sorprese dal Consiglio d’amministrazione del servizio pubblico radiotelevisivo, abbiamo avuto una lunga conversazione con lui. Un’intervista per tracciare un bilancio dei suoi sette anni alla direzione generale della Ssr (e oltre venti alla radiotelevisione romanda), ma anche per riflettere sulla situazione attuale e sulle sfide non solo del servizio pubblico, ma in generale del mondo dei media. Tre momenti, quasi tre atti di uno spettacolo teatrale: se una commedia o una tragedia lo si vedrà al momento della votazione per abbassare il canone a 200 franchi.
Gli anni alla Ssr di Gilles Marchand hanno visto importanti e rapidi cambiamenti – «penso che il panorama mediatico sia cambiato più negli ultimi 25 anni che nei 100 precedenti» – che il direttore uscente ha riassunto in quattro ondate, «quasi degli tsunami».
La prima è rappresentata da internet, con la diffusione online di programmi radio e tv. Oggi la diamo per scontata, ma la televisione romanda diretta da Marchand «è stata l’avanguardia», la prima insieme alla Bbc a mettere su internet il proprio telegiornale.
La seconda ondata è stata la convergenza, «l’integrazione dei media radio e tv che hanno proposto contenuti insieme su internet», ma non per mischiare contenuti testuali, audio e video: «La mia visione è che non dobbiamo dissolvere le caratteristiche di ogni media per proporre qualcosa senza sapore e senza forma; al contrario dobbiamo sommare le competenze specifiche in un unico luogo perché il pubblico le trovi più facilmente e le utilizzi meglio».
La terza ondata è rappresentata dai social media, con dinamiche di comunicazione e di relazione che hanno spesso aggirato il ruolo del giornalismo. E poi «l’ultima ondata, che sta arrivando e sarà la più grande di tutte: l’intelligenza artificiale» che «cambierà completamente il modo di concepire, produrre e distribuire i contenuti.
Alla domanda sui principali traguardi raggiunti in questi anni, Marchand risponde in cinque punti.
Il primo ha una data ben precisa; il 4 marzo 2018, quando oltre il 70% dei votanti (e tutti i Cantoni) hanno respinto l’iniziativa No Billag. «Una battaglia difficile e una vittoria per me davvero importante» ha ricordato Marchand.
Il secondo punto è una percentuale: 71-73%. È la fiducia di cui gode la Ssr come fonte d’informazione secondo l’analisi condotta a livello globale dal Reuters Institute; un valore alto, rispetto a quello che in Svizzera viene attribuito in generale ai media e che si aggira intorno al 40 per cento.
Il terzo successo di Marchand riguarda la trasformazione digitale: abbiamo già citato il telegiornale romando online, ma l’iniziativa più importante è certamente la piattaforma di streaming Play Suisse che «non è solo un’evoluzione tecnologica, ma un vantaggio per la coesione nazionale, con oltre tremila titoli sottotitolati o doppiati nelle tre lingue nazionali e alcuni anche in romancio».
Abbiamo poi gli archivi. «Quando abbiamo celebrato i cinquant’anni della Televisione nella Svizzera romanda nel 2004, ci siamo resi conto che gli archivi stavano scomparendo a causa del deterioramento chimico dei nastri: abbiamo quindi lanciato un piano di salvataggio e ora sono tutti digitalizzati». Infine, come ultimo punto Marchand ha citato un piano di reinvestimento in prodotti audiovisivi svizzeri avviato dopo il fallimento dell’iniziativa No Billag, «in particolare nelle fiction svizzere in televisione che permettono di raccontare la Svizzera».
C’è qualcosa che Marchand, col senno di poi, avrebbe gestito diversamente? «Sì, trovo davvero deplorevole che ci troviamo di nuovo di fronte a un’iniziativa popolare che minaccia la Ssr». Perché questa iniziativa «significa che non siamo riusciti, che io non sono riuscito, a mostrare sufficientemente alla classe politica che il servizio pubblico svizzero è importante per il Paese e che nessuno ha da guadagnare dal suo indebolimento. Me ne rammarico. Avremmo dovuto trovare altri modi per farlo in maniera più convincente».
Perché se con il pubblico c’è «una buona relazione, solida, con persone che sono affezionate ai programmi», i rapporti con la politica «sono più complessi perché ci sono ovviamente altre questioni in gioco». Per esempio? «C’è tutta la discussione sulla politica dei media, su cosa succede con i media privati, su come far coesistere media pubblici e privati: mi spiace che i media privati, e soprattutto una parte della politica, pensino che se la Ssr viene indebolita loro staranno meglio, come se ci fosse una specie di trasferimento automatico».
Parlare del rapporto con i media privati, soprattutto della Svizzera tedesca, e l’iniziativa per il canone a 200 franchi solleva il tema delle dimissioni anticipate di Marchand, il cui incarico si sarebbe dovuto concludere alla fine del 2026. Ma, ci ha spiegato, il discorso è più ampio: «Penso che un ciclo di 7-8 anni nella gestione di un’azienda molto grande e complessa sia un ciclo giusto: bisogna saper partire al momento giusto affinché l’azienda possa rinnovarsi correttamente». E in ballo non c’è solo la votazione popolare, ma anche la nuova concessione: «Non si può negoziare una concessione completa, condurre una campagna politica e poi, nel momento in cui tutto questo dev’essere implementato, andarsene. Non funzionerebbe».
Qual è la sfida più importante che deve affrontare la Ssr? «Continuare a riunire la popolazione e il pubblico coltivando al contempo la diversità: è una sfida molto complessa perché in questa nuova società digitale c’è una concorrenza gigantesca che è mondiale e che vediamo, in Svizzera, soprattutto nel campo dello streaming» ha risposto Marchand. La Ssr, ha proseguito, deve affrontare questa concorrenza internazionale mantenendo un’offerta che resti ancorata alla realtà svizzera, in pratica mantenere il contatto con il pubblico “di base” e raggiungere al contempo quello giovane che è poco interessato ai tradizionali programmi lineari.
Nel suo mandato, la Ssr ha quattro missioni: l’informazione, la promozione delle attività culturali, la formazione e l’intrattenimento. Ma «al cuore di tutto», ci ha spiegato Marchand, «c’è l’informazione perché viviamo in un mondo nel quale la manipolazione è estremamente presente, e questo si aggraverà ulteriormente con l’intelligenza artificiale». In un Paese come la Svizzera, dove con la democrazia diretta si vota quattro volte all’anno sui temi più disparati, «è importante che i media, non solo pubblici ma anche privati, offrano un’informazione solida, verificata ed equilibrata affinché i cittadini possano esercitare i loro diritti».
E qui si torna al discorso sulla fiducia che la popolazione riconosce alla Ssr. «Penso che innanzitutto sia un segno della qualità della nostra informazione: non siamo perfetti, facciamo i nostri errori ma quando li facciamo cerchiamo di riconoscerli e di correggerli». È anche una questione di fedeltà: la Ssr, ha proseguito Marchand, ha accompagnato, anche in momenti difficili come accaduto recentemente con la pandemia di Covid-19, intere generazioni. «Abbiamo inoltre una vasta rete di corrispondenti nelle diverse regioni del Paese e del mondo: non ci limitiamo a riprendere informazioni che arrivano da agenzie o dalle aziende, abbiamo persone che vanno a vedere cosa succede sul campo».
Tornando ai quattro pilastri della Ssr: quando abbiamo chiesto a Marchand quale si potrebbe ridimensionare, per far fronte alle minori risorse o perché, nel nuovo panorama mediatico, non è più prioritario, la sua risposta è netta: nessuno. «Io difendo l’idea di un programma completo perché penso che il servizio pubblico non debba scegliere il suo pubblico. Il servizio pubblico, per definizione, deve essere presente per tutti: non si può dire che ci siano pubblici non legittimi o interessi non legittimi». Anche l’intrattenimento, spesso indicato come il settore “sacrificabile”, è quindi indispensabile: «Capisco che non si possa fare tutto, ma non si tratta di fare cose diverse, si tratta di farle in modo diverso. Per l’intrattenimento, l’importante è che la nostra offerta sia ancora al servizio pubblico, abbia una relazione con la popolazione. E questo vale anche per lo sport: è importante poter mostrare eventi sportivi che siano significativi o interessanti per il Paese».
Nei giorni scorsi è stata annunciata la nomina di Marchand nel Consiglio d’amministrazione del Locarno Film Festival. Al nostro “verrà a Locarno”, siamo subito stati corretti: «Sono 24 anni che vado ogni anno a Locarno: è un festival che conosco molto bene». Che cosa porterà al Festival? «Quello che cercherò di portare è la mia rete di contatti, sia nazionale che internazionale: conosco molte persone nel mondo mediatico internazionale attraverso l’Ebu, l’Unione europea di radiodiffusione, e porterò anche contatti con le televisioni europee». E poi «un’esperienza direi abbastanza importante nella gestione di un’impresa culturale: la Ssr è una grande impresa culturale che bisogna saper condurre e gestire, essere efficienti pur restando pertinenti sul piano culturale».
Se guardiamo al futuro, come immagina la Ssr tra sette o vent’anni? «La risposta facile è: chiedetelo a Susanne Wille» ha risposto un po’ scherzando, un po’ riconoscendo alla nuova direttrice il compito di definire la strategia futura. «Posso dire come cambieranno i media in generale». E il primo settore al quale Marchand guarda sono le piattaforme di streaming. Che si svilupperanno ulteriormente «e mescoleranno streaming, eventi in diretta e in “replay”». C’è poi, come accennato, tutta la questione dell’intelligenza artificiale che Marchand vede come «una zona di rischio abbastanza importante se non la si controlla». In concreto, il rischio è «non sapere più chi ha prodotto quale contenuto, non controllare più il rapporto con il pubblico perché sarà l’IA a fare da tramite tra pubblico e media». Per questo secondo Marchand è importante «mantenere una relazione diretta e controllare bene come viene utilizzata l’IA per non perdere la fiducia del pubblico».
Per quanto riguarda la radio e la tv “tradizionali”, «penso che nei prossimi dieci anni rimarranno alcune offerte lineari, perché accanto al consumo on demand delle grandi piattaforme, ci sarà sempre il desiderio di avere una programmazione concepita da qualcuno».
E in questo discorso sui media del futuro Marchand vede un ruolo anche per la stampa scritta: «Penso che abbia ancora delle carte da giocare, ma ci sono due criteri chiave: dovrà valorizzare assolutamente il radicamento territoriale e la prossimità, e dovrà portare valore aggiunto. Se la stampa scritta si limita a riproporre ciò che si trova sulle piattaforme e i social network, non avrà alcuna possibilità di sopravvivenza».