Il consolidamento di un modello di esclusione che passa attraverso la scuola e molto altro nell’intervista alla storica ticinese Nelly Valsangiacomo
Tutte le voci che finora si sono espresse sul probabile avvicendamento di Boas Erez alla guida del Collegio Papio di Ascona giudicano favorevolmente la proposta del Consiglio di fondazione presieduto da Filippo Lombardi di affidare il rettorato della scuola cattolica privata a un laico, con qualche critica come quella del vescovo emerito e già rettore del collegio don Giacomo Grampa che in una lettera al Cdt – oltre a giudicare insufficiente il fatto che il ruolo venga assunto solo al 20% – pur sostenendo di non voler mettere in discussione la scelta di un laico, sottolinea di non accettare che un religioso venga escluso di principio e formula l’augurio che si possa uscire dalla tensione in atto. La sola a essersi finora pronunciata con manifesto scetticismo sull’affidare il ruolo all’ex rettore dell’Università della Svizzera italiana – nonché membro del Consiglio della magistratura e candidato al Consiglio di Stato nella lista rossoverde alle scorse elezioni cantonali – è stata l’ex presidente del Partito socialista Anna Biscossa, che al portale Liberatv ha affermato di essere assolutamente sorpresa della proposta, chiedendosi se dietro non ci sia una strategia delle scuole private – con il Papio a fare da ariete di sfondamento – per tornare sul tema del loro finanziamento. «Condivido pienamente il suo pensiero, mi stupisco anzi che sia l’unica ad avere espresso questa preoccupazione», afferma Nelly Valsangiacomo, storica, professoressa universitaria e autorevole espressione di una visione progressista nel panorama intellettuale ticinese, a cui abbiamo posto alcune considerazioni.
Perché, in termini di società, la preoccupa il possibile arrivo di Boas Erez alla guida del Papio?
Avere un occhio attento a quello che succede nelle scuole private in questo momento è importante, soprattutto in riferimento alla scuola pubblica, che con tutta evidenza vive un momento difficile dal punto di vista politico. Le proposte che vengono avanzate con grande insistenza, in particolare dal Partito liberale e dall’Udc, non sono bruscolini e sono il risultato di un percorso più che decennale che attacca tutti gli ordini di scuola, tant’è che gli attuali tagli del Consiglio federale che toccano le Alte scuole fanno parte della stessa logica. La mia lettura è che si voglia cambiare in maniera sostanziale la scuola pubblica, trasformarla da istituzione fondante di una società democratica a prestataria di servizi a disposizione di una clientela, che si considera proprietaria di un sapere a geometria variabile, a seconda di interessi economici immediati e in favore di un’élite sempre più ristretta; e sempre più élite. Le proposte avanzate, anche nelle modalità in cui sono state fatte, rinviano alla volontà di ridisegnare la formazione sognando una scuola à la carte, ossia vicina come modello e sistema organizzativo, a quello delle scuole private. Come insegnante e come cittadina non posso aderire a questa visione che considero miope e pericolosa, poiché indebolisce il sistema educativo, partendo dalla scuola dell’obbligo.
La nostra società ha bisogno di ritrovare un tessuto connettivo, di fare comunità in senso non settario. La storia della scuola nel cantone ci parla della volontà di coniugare la dimensione individuale a quella collettiva, per poter avanzare insieme. Per questo la scuola pubblica è stata e continua a essere così importante in Ticino e per me rimane un caposaldo forte, tra gli ultimi peraltro, di una società inclusiva, ossia non esclusiva. Parrà forse un gioco di parole, ma è abbastanza sorprendente come in un periodo in cui si mira chiaramente a consolidare dei gruppi privilegiati a scapito del resto della popolazione, il termine “esclusivo” sia praticamente assente dal dibattito pubblico. In realtà, sembra essere l’obiettivo ultimo per chi, nei fatti, l’esclusione la teorizza e cerca di metterla in pratica. Per questo è importante capire cosa avviene nelle scuole private, non stupirebbe infatti se si riaprisse un dibattito anche sul finanziamento di queste scuole in un periodo di difficoltà per tutti. Sarei molto felice di sbagliarmi.
Sempre (e solo) Biscossa ha definito discutibile il fatto che un candidato al Consiglio di Stato nella lista rossoverde, perdipiù subentrante alla direttrice del Decs Marina Carobbio, un anno e mezzo dopo le elezioni si proponga a capo di una scuola privata cattolica. È contraddittorio o forse la vera domanda è se Erez abbia davvero una visione progressista oppure se piuttosto – senza mettere in dubbio la sua recente conversione – sia capace di adattare il proprio profilo ai ruoli a cui ambisce?
Premetto che non apprezzo per nulla questa candidatura in termini politici. Se Carobbio dovesse dimettersi avremmo a capo delle scuole pubbliche il rettore di una scuola privata. Vero è che altri membri dell’attuale esecutivo hanno avuto rapporti privilegiati con “la controparte”, ad esempio in materia sanitaria. A me comunque pare un aspetto quanto meno problematico. Ma forse per altri non è così.
Non mi esprimo sulle competenze di Erez, perché non le conosco e non sta a me fare un’analisi in questo senso. Come non mi pare sia corretto, e nemmeno utile, occuparsi del suo percorso personale. Dal punto di vista politico, invece, la candidatura è oggettivamente inopportuna, nonostante sia legittima da un punto di vista individualistico. In una situazione come questa interpellare i colleghi di lista, o porsi alcune domande quale subentrante di Marina Carobbio, mi parrebbe un gesto dovuto.
Ritiene possa trattarsi anche di una strategia per ripulire l’immagine del collegio dopo le ombre che vi sono state gettate a seguito dell’arresto del cappellano don Rolando Leo, accusato di reati sessuali contro minori?
Non ho sufficienti elementi per esprimermi nel merito. Che la Chiesa debba affrontare una situazione inquietante e pregnante per la sua storia secolare è innegabile. Che sia ormai scaduto il tempo per la Chiesa di temporeggiare su questi gravissimi fatti mi sembra altrettanto innegabile. Come mi sembra anche comprensibile che un consesso che si ritrova a dover fare i conti con una realtà come questa cerchi delle soluzioni per superarla; non solo per ripulirsi l’immagine, si spera. Esistono forse anche altre difficoltà, di ordine più organizzativo e strutturale, che hanno portato a questa scelta. Ma come detto, non ho più elementi a disposizione di qualsiasi persona che s’informa tramite i media.
Cosa concretamente potrebbe cambiare questa probabile nomina all’interno della scuola in cui si è formata gran parte dell’élite conservatrice che dirige questo cantone? L’entusiasmo generalizzato per il ruolo affidato a un laico cosa rivela sull’istituzione e sulla società di oggi?
Esiste una lunga tradizione di personalità conservatrici ticinesi che sono passate dal Papio, questo è vero. È anche vero che, come ha scritto qualcuno, con certi chiari di luna ad avere ora Flavio Cotti in Consiglio federale, ci sarebbe da leccarsi i baffi. Battute a parte, si può ancora pensare al Collegio Papio in questi termini? È ovvio che non è la prima scuola che viene in mente se si pensa alla formazione di persone che si situano piuttosto in un’area politica progressista, laddove intendo con questo termine una visione di società fondata su equità e coesione e in cui la scuola gioca un ruolo emancipatore, al di fuori delle imposizioni, peraltro sempre più aleatorie, del mercato del lavoro. Come appena detto, non mi sento legittimata a entrare nel merito della scelta dell’istituto rispetto a una personalità laica, ma mi pongo delle domande, di tipo politico non personale, sulla scelta specifica.
Sull’entusiasmo in genere, io ho l’impressione che in un’epoca di letture frettolose della realtà, complice la facilità della comunicazione, l’entusiasmo e l’indignazione circolino velocemente, spesso intrecciandosi. Il risultato è spesso un tifo da stadio, con le sue pericolose derive.
Fautore della mossa è il municipale di Lugano ed ex senatore Filippo Lombardi, noto per la sua estesa rete di conoscenze e per sedere in svariati consessi. Non si alimenta il sospetto che a gestire l’assegnazione dei posti di potere nel cantone siano un po’ sempre le stesse persone e viga un sistema di clientelismo?
Credo che questo sia un dato evidente, che pare aver stupito lo stesso Alain de Raemy, forse non ancora abituato alle nostre tradizioni di notabilato. Non credo sia nemmeno più un sospetto. La storia del cantone è segnata da un sistema in cui famiglie e persone, per origine sociale e politica, spesso intersecate, hanno particolare influenza sulla gestione dei posti di potere nello spazio privato, ma a volte anche in quello pubblico. In questo cantone si finisce tutti a darsi del tu, e in molti casi sarebbe molto meglio evitarlo.
Nello specifico, quello che magari in maniera maliziosa viene da pensare è che una volpe navigatissima come Lombardi, che ha saputo schivare, se non con eleganza certo con destrezza, molte situazioni delicate, un’occhiata sorniona ai risultati delle ultime elezioni al Consiglio di Stato l’abbia data.
Cosa rivela del fronte rossoverde il fatto che lo stesso si sia affidato a Erez per la corsa al governo? L’impressione è che sia stata estromessa Amalia Mirante per poi puntare su una persona che ha preso una strada altrettanto incongruente con l’identità del partito.
Parliamo pure di incongruenze e del fatto che, come dicevo prima, a una persona non bisognerebbe solo domandare la sua identità politica, ma anche verificare nei fatti se questa corrisponde. Per quanto riguarda Mirante, non mi sembra sia stata estromessa dalla corsa al governo. Le parole hanno un senso. È stato deciso democraticamente, ossia attraverso un confronto e una consultazione, che Mirante non era la persona più idonea per sostenere il programma politico votato dal Partito socialista. Le sue prese di posizione pubbliche in seguito suffragano pienamente questa scelta. Poi uno si inventa le narrazioni che vuole. Queste sono cose che non hanno nulla a che vedere con la simpatia che una persona può suscitarci, ma con quello che propone e soprattutto con quello che concretamente fa. Forse l’area rossoverde dovrebbe cominciare a fare con più rigore questo esercizio, ogni singolo aderente, non solo chi la coordina.
Il problema di questi tempi, come ho già detto, è che si privilegiano le personalità politiche che fanno audience, individui che sanno stare sotto i riflettori. Eppure, le squadre di calcio e di hockey ce lo insegnano: per essere un leader e portare la squadra alla vittoria devi sapere lavorare duro e fare gruppo. Anche quando si spengono le luci della ribalta. Se voglio vedere una persona che fa uno show, vado a teatro o al cinema, eventualmente me la guardo su un social e le metto un “mi piace”; certo non vado al seggio a votarla. A volte mi domando se siamo tra The Truman Show e Matrix; poi concludo ancor più tristemente che ormai viviamo come in un reality show. Come ho già detto siamo in una fase in cui la cittadinanza si comporta ed è trattata come un pubblico pagante, che osserva e si emoziona per personalità istrioniche, incalzate da un giornalismo sempre più in difficoltà rispetto al proprio ruolo. Non è facile capire dove siano le cause prime. Mi è chiaro però che il sistema democrazia è molto sofferente.