Sulle sorti del sistema sanitario non tutti concordano con la narrativa che per contenere l’aumento dei premi di cassa malati si sia tentato il possibile
Il Ticino può, e deve, fare la sua parte per contenere i costi della salute. Costi che si riflettono automaticamente sui premi di cassa malati. Dopo l’indignazione di piazza e soprattutto dopo le due votazioni di giugno – “per premi meno onerosi” e “per un freno ai costi” – che nel nostro cantone hanno ottenuto ampio consenso ma che non sono state approvate a livello federale, c’è chi pensa che un margine ci sia.
«La preoccupazione espressa dai ticinesi in questi giorni è la preoccupazione di tutti, anche dei politici che siedono a Berna», afferma interpellato dalla ‘Regione’ il consigliere nazionale dell’Udc e presidente della deputazione ticinese alle Camere federali Piero Marchesi. «È altrettanto chiaro che la colpa non si può dare sempre e solo a Berna. Il Ticino ha premi del 30-40% più alti di altri cantoni, ad esempio Uri e Grigioni. Una differenza così ampia non si può ricondurre solo alla politica federale. Certo – riconosce Marchesi – la Lamal ha mostrato tutti i suoi difetti, ma queste differenze non sono giustificabili solo con l’invecchiamento della popolazione». Un concetto ribadito anche dalla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider ieri sulle colonne di questo giornale. «In Ticino – continua il democentrista – abbiamo un numero di medici pro capite troppo alto, la popolazione fa spesso capo al sistema sanitario e ci sono troppi ospedali, ne abbiamo sedici. Su questi aspetti si può fare qualcosa anche perché i premi, in fin dei conti, rispecchiano i costi generati sul territorio». E qui la palla passa nel campo della politica cantonale. «Il Dipartimento sanità e socialità ha messo in atto diverse iniziative lodevoli, come la recente diminuzione dei punti Tarmed dei medici e la moratoria Spitex, ma la narrativa che è stato fatto tutto quello che era possibile si scontra con i numeri. Se altri cantoni hanno i premi di cassa malati più bassi, a volte molto più bassi, è perché evidentemente hanno fatto qualcosa in più per contenerli». Insomma, «si può fare molto di più. L’elevato numero di ospedali presenti sul territorio è un costo. Non dico che ne vada chiusa la metà, ma bisogna ripensarne la distribuzione e mettersi nell’ordine di idee che non si può avere ogni servizio sanitario sotto casa». Il riferimento è alla pianificazione ospedaliera, dossier ora nelle mani della commissione Sanità e sicurezza sociale del Gran Consiglio.
Nel frattempo, sul tavolo della politica cantonale e federale continuano ad arrivare proposte per risolvere, o attenuare, la difficile situazione attuale. Una di queste, che arriva proprio dall’Udc, suggerisce l’aumento della franchigia minima in linea con la crescita dei costi sanitari. «È un tema che va preso in considerazione se si vuole responsabilizzare i cittadini e ridurre i costi dei premi». Una cassa malati unica e pubblica con magari i premi proporzionali al reddito come suggerisce la sinistra? «Cambierebbe solo il tipo di fattura, ma non l’importo visto che non si va a intervenire sui costi. D’altra parte il nostro è un sistema già molto sociale, visto che gran parte della spesa è coperta dall’ente pubblico e i milioni di sussidi aiutano chi non ce la fa a coprire i costi», risponde Marchesi. E una moratoria nel caso di ulteriori aumenti dei premi nei prossimi anni? «Mi sembra una proposta che non rispetta la legge, dove si dice chiaramente che i premi devono coprire i costi generati in un cantone. Se aumentano questi ultimi, devono salire anche i premi. Per questo, per ridurre i premi in Ticino, bisogna ridurre i costi sanitari nel nostro Cantone. Non esiste alternativa».
Preoccupato per le sorti del sistema sanitario anche Bruno Cereghetti, ex responsabile dell’Ufficio assicurazione malattia del Dss. «Non è solo l’aumento dei premi per il prossimo anno ad allarmare – rileva –, ma quello che capiterà dopo. In Ticino sarà un massacro». Per Cereghetti, «non è vero che in Ticino ci sono troppi fornitori di prestazione. Non ne abbiamo più della media nazionale». Non solo. «Un altro luogo comune – aggiunge –, che sta diventando motore di tutte le misure nefaste sparate contro la sanità, è che i cittadini si servano del sistema sanitario à la carte. Ammettiamo che qualcuno vada dal dottore per un nonnulla, in quel caso dovrebbe essere il medico a non darvi seguito. Al limite costa la visita». I costi della sanità «sono generati dalle persone malate. E questo stranamente non lo si vuole capire», rimarca l’ex capo ufficio rincarando la dose: «Se si vogliono abbassare i costi, lo si faccia, ma si abbia il coraggio di dire che non ci sarà più la stessa qualità del sistema per tutti, ma solo per i ricchi».
Cereghetti non ci gira intorno. «Quando si agisce sul sistema sanitario si incide sulle persone e sulla socialità della medicina. Comprimendo il settore sanitario all’infinito saranno le classi più deboli a soffrire maggiormente». Ma anche. «Con il sistema impostato in Svizzera – prosegue – l’aumento dei costi sarà sempre progressivo». E mette in evidenza: «La peculiarità assoluta di questo sistema è la sua democraticità d’accesso in tempi medicalmente utili. Inasprendo il sistema, viene meno, penalizzando le fasce più deboli della popolazione».
Mercoledì alcune centinaia di persone hanno protestato in piazza contro gli aumenti dei premi. Manifestazione da cui sono emerse tre precise rivendicazioni. «La moratoria sui premi – illustra Cereghetti – ha la mia simpatia, anche se è un provvedimento assurdo, dato che i premi sono fissati in funzione dei costi. Ci vorrebbero quindi delle misure compensatorie, perché se i premi in moratoria non sono sufficienti a coprire le prestazioni è un problema per le assicurazioni. Pur non sposandola sotto il profilo economico, posso capirne le ragioni, espressione di una preoccupazione diffusa». L’appello al Gran Consiglio di rinunciare ai tagli dei sussidi di cassa malati raccoglie invece il pieno sostegno di Cereghetti. «È un’assurdità che il Preventivo 25 voglia tagliare i sussidi in questo contesto. È una misura improponibile che manifesta una debolezza del governo nel fissare chiare priorità». Sulla cassa malati unica e pubblica con premi proporzionali al reddito Cereghetti fa un passo indietro. «Non farebbe che peggiorare la situazione», sottolinea e chiarisce: «La cassa malati unica federale, che ai tempi avevo sostenuto, oggi mi fa paura. Dare in mano le redini a un assicuratore unico federale in un momento di tale difficoltà ridurrebbe sì i costi, ma getterebbe sul lastrico il sistema sanitario. Prova ne è l’assicurazione invalidità, un assicuratore federale, che pur di salvare i propri conti ha gettato a mare l’aggettivo sociale, fatta eccezione per i grandi invalidi». Per quanto concerne i premi in funzione del reddito, nota, «introdurli non farebbe alcun piacere al ceto medio». Il motivo? «Facciamo una radiografia fiscale della popolazione. Il 30% dei cittadini è esente da imposte, quindi non ha reddito e pagherebbe poco o nulla di premio. Il 20% è composto da contribuenti fiscali deboli, che contribuirebbero forse con il 10%». I calcoli sono presto fatti: «Questo significa che il 90% dei premi sarebbe riversato sul 50% dei contribuenti, ossia sul ceto medio. I super ricchi, infatti, sono solo il 3% della stratificazione fiscale. In questo modo il ceto medio pagherebbe dal 50 all’80% in più di premio». L’idea di Cereghetti è dunque «di aiutare i cittadini, attraverso interventi federali e cantonali, a pagare i premi, perché è un problema che tocca tutti. Questo sarebbe proporzionale al reddito e non colpirebbe il ceto medio».