Parte lunedì dal GranRex il ciclo di anteprime del documentario di Olmo Cerri presentato a Soletta e al Locarno Film Festival
Nel 1970 un giovane ticinese cresciuto a Minusio viene fermato mentre tenta di entrare in Israele con del materiale esplosivo. Ha 20 anni, la faccia da bravo ragazzo e un incrollabile ideale: sostenere la causa palestinese. Lo processano e condannano a 7 anni di prigione, che sconterà in Francia.
In questo modo nasce il mito di Bruno Bréguet. Riscoperto, oltre mezzo secolo dopo, dal regista Olmo Cerri, che con “La scomparsa di Bruno Bréguet” torna sulle tracce di uno dei personaggi più controversi di casa nostra, incontrandone amici e compagni (di lotta e non) per raccontare una vicenda i cui contorni rimangono ancora oggi in parte indefiniti. A partire appunto dalle esatte circostanze della misteriosa sparizione che dà il titolo al documentario, avvenuta nel ’95 durante un viaggio in traghetto dall’Italia alla Grecia; ma anche caratterizzata da un progressivo radicalismo – fino alla comprovata vicinanza al terrorista Carlos, con il coinvolgimento in diversi attentati –; e, forse, anche da una fase di dissociazione, simboleggiata da un’oscura collaborazione con la Cia.
Presentato in prima mondiale alle Giornate di Soletta e poi, lo scorso mese di agosto, per Panorama Suisse durante il Locarno Film Festival, il documentario è una coproduzione fra l’Associazione Rec di Lugano e la Dschoint Ventschr Filmproduktion di Zurigo. Sei anteprime con dibattito, alla presenza del regista e di alcuni ospiti, sono previste da lunedì prossimo, 23 settembre, proprio a partire dal GranRex di Locarno (20.30).
«Nella vita di Bréguet non è tutto bianco o tutto nero – spiega Cerri, ‘laRegione’ –. Ci sono state diverse fasi: dal giovane militante nelle cui spinte idealistiche è forse più facile identificarsi, al potenziale terrorista legato all’inquietante figura di Carlos; ma anche la pista che porta ai Servizi segreti americani. Per terminare con la sparizione, che al di là delle molte ipotesi formulate – fra cui un romantico “buen ritiro” da qualche parte, lontano da tutto e da tutti – continua e probabilmente continuerà ad essere un mistero».
Cerri scopre Bréguet una decina di anni fa, dopo la ripubblicazione dei suoi diari, contenuti nel libro “La scuola dell’odio”: «Alla Casa del Popolo di Bellinzona, dov’era stato presentato, avevo incontrato, oltre ad alcuni parenti, diverse persone che anni prima erano state vicine a Bréguet. Parlandoci, mi era venuta voglia di occuparmi della vicenda». Occuparsene significa innanzitutto cercare e trovare i finanziamenti: «Ho potuto contare sul sostegno dell’Ufficio federale della cultura e della Ssr, con il “Pact de l’audiovisuel”, ma anche sulla Zürcher Filmstiftung, il Canton Ticino e sulla Ticino Film Commission, più tutta una serie di fondazioni – ricorda Cerri –. La trafila per la ricerca dei fondi, benché impegnativa, è comunque sempre una fase interessante perché – considerando soprattutto che parliamo di soldi pubblici, anche legati al canone – ti stimola a riflettere bene sulle cose, a condurre una ricerca approfondita. A maggior ragione in questo caso, visto il contesto molto particolare: negli anni 70 i movimenti di resistenza pro Palestina erano molti, con diversi profili e influenze».
Parallelamente, occorre documentarsi. E Olmo lo fa andando a spulciare l’Archivio federale di Berna, ma anche approfondendo la conoscenza delle persone in gioventù vicine al Bréguet e disposte anche a raccontare e a raccontarsi. «Generosamente – elenca il regista – lo hanno fatto in particolare Gianluigi Galli, Giorgio Bellini, Marina Berta, che nel post-68 conoscevano il giovane Bruno; ma anche due persone che con Bréguet avevano avuto un rapporto meno politico ma più amichevole, come Claudia Ribi e Theo Mossi. E va citato anche lo storico Adrian Hänni, specializzato in terrorismo e intelligence, che vive e lavora fra Zurigo e la Germania e a cui devo molte informazioni sulla figura di Carlos, nella cui orbita si era ritrovato appunto lo stesso Breguet». Sarà tra l’altro proprio Hänni, con le sue ricerche, ad aprire il fronte relativo al legame avuto a un certo punto da Bruno Bréguet con la Cia.
Le riprese sono state effettuate da Giacomo Jäggli, il montaggio da Kathrin Plüss, il suono da Adriano Schrade e la musica di Victor Fumagalli. Il brano finale è di Terry Blue, al secolo Leo Pusterla.
L’appuntamento al GranRex di lunedì sarà seguito da quelli di martedì 24 al Lux Arthouse di Massagno (20.30), mercoledì 25 al Multisala Teatro di Mendrisio (20.45), giovedì 26 al Forum di Bellinzona (20.30) e mercoledì 2 e venerdì 4 ottobre al Cinema Blenio di Acquarossa (senza dibattito a seguire), che precederanno una normale programmazione in alcune sale ticinesi.