Mentre il clima in Curia parrebbe diventato tanto pesante quanto grottesco, una situazione da ‘Divide et impera’
Ci risiamo. E non c’è solo il caso don Leo. A dispetto dei tanti sorrisi che monsignor Alain de Raemy, amministratore apostolico, dispensa quotidianamente in tutto il cantone, raggiungendo fino all’ultima valle (come aveva auspicato nella sua entrata in carica), il clima nella Diocesi di Lugano risulta tanto pesante quanto grottesco. In quello che dovrebbe essere il luogo della concordia e dell’armonia, sono di casa diversamente musi lunghi, nervi tesi e pressioni non indifferenti.
Diverse sono le voci giunte in redazione e quelle raccolte fra buona parte del clero ticinese. Testimonianze che parlano, confermate l’una dall’altra, di una situazione da ‘Divide et impera’, locuzione latina secondo cui un’autorità può più efficacemente controllare e governare un popolo dividendolo in più parti, provocando rivalità e fomentando discordie al suo interno, anziché farne un… gregge.
A compromettere la ‘fraternità’ ci sono certamente gli ultimi e recenti casi affiorati nell’ambito degli abusi, ma anche, e non poco, la presenza di un entourage che, dopo le criticità affiorate con il ministero di Valerio Lazzeri (poi dimessosi nell’ottobre 2022), avrebbe dovuto essere rimosso così da facilitare un rapido, e auspicato, nuovo e più sereno corso.
Così non è stato. Lo stesso vicario, don Nicola Zanini, continua a operare, e ad avere un peso – insieme a esponenti di congregazioni – pur nell’attuale mandato ad interim. Una poltrona che però si è fatta ancora più scomoda con la notizia che il vescovo emerito Lazzeri aveva già raccolto, tre anni fa, la segnalazione del giovane in merito agli atteggiamenti libidinosi del sacerdote arrestato ad agosto. Un’insoddisfazione, all’interno del mondo religioso ticinese, che sarebbe alimentata dal ritardo romano nel nominare la nuova guida della Diocesi di Lugano che appare, dunque, sempre più “in sofferenza”. Un ritardo a cui si affianca, diverse fonti interne lo confermano, il mancato invio al Vaticano della famosa terna di nomi e su cui recentemente si sono spese candidature, evidentemente non confermate ed evidentemente già fuori dai giochi.
Alla Diocesi si imputano, soprattutto, una scarsa lungimiranza e una poco oculata gestione delle più recenti nomine. Un sistema che si sarebbe fermato al Concilio di Trento anziché attuare le indicazioni del Vaticano II, senza dimenticare l’insofferenza a percorrere la strada indicata, chiaramente, da papa Francesco sui casi di abuso.
Nonostante, insomma, la recente Assemblea diocesana del presbiterio, uscita allo scoperto con la richiesta di perdono ai fedeli per la sua “fragilità umana”, sotto la pacatezza mostrata dal pastore De Raemy vi sarebbero comportamenti di tutt’altro tenore.
Ed è proprio una trasparenza mancata e un clima collaborativo minato fin dal suo interno che avrebbe portato lo stesso Ordinariato precedente a non segnalare né tantomeno a denunciare gli stessi reati contestati a don Rolando Leo, affiorati, come abbiamo scritto ieri, a distanza di tre anni, con la nuova segnalazione, questa volta a De Raemy, del giovane, vittima delle attenzioni deprecabili dell’assistente spirituale. Solo tre anni fa! Quando il modus operandi per la Chiesa, ma anche per ogni contesto della società, avrebbe dovuto essere già lapalissiano: denunciare punto. Un’omissione, invece, su cui dovrebbe ora dare risposte, chiare, la Magistratura.