Fuggita dal suo paese Noushin vive a Giubiasco. La Sem non le ha riconosciuto la qualità di rifugiata. I ricorsi e la battaglia legale per poter restare
È una storia di coraggio, forza e determinazione quella di Noushin Azarnoush, donna iraniana di 36 anni, madre sola con due bambini, divorziata da un marito violento, giunta in Svizzera nel 2021 dopo un lungo e difficile viaggio iniziato nove anni fa. Una fuga dal suo Paese – nel quale non si sentiva sicura dopo essersi convertita al cristianesimo – durante la quale è stata anche vittima di un violenza sessuale subita in Grecia da un passatore, rimanendo così incinta. Il bimbo è nato tre anni fa, tre mesi dopo l’arrivo in Svizzera. Appena giunta in Ticino, Noushin ha presentato regolare domanda d’asilo, ma la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) le ha concesso unicamente il permesso F, ossia un’ammissione provvisoria, non riconoscendole dunque la qualità di rifugiata. Decisione che lei ha impugnato col supporto giuridico del Soccorso operaio svizzero e che il Tribunale amministrativo federale (Taf), con sentenza dello scorso 13 maggio, ha parzialmente accolto rinviando alla Sem gli atti e chiedendo di esaminare più approfonditamente la questione relativa alla nascita del figlio avvenuta dopo la fuga dall’Iran e cosa ciò potrebbe comportare in caso di ritorno in patria. La Sem, sulla base di accertamenti eseguiti rivolgendosi all’Ambasciata svizzera di Teheran, nel giro di qualche settimana le ha comunicato che in caso di ritorno in Iran “è altamente improbabile che vada incontro a seri pregiudizi o a una procedura penale per la nascita del secondo figlio”. E ha aggiunto che “i rapporti extraconiugali sono oggi comuni in Iran e le autorità e i giudici iraniani riconoscono questa realtà”. Oltre a questo aspetto, la Sem ha spiegato di ritenere inverosimile che la donna abbia effettuato delle attività missionarie per il cristianesimo in Iran. Perciò considera infondato il suo timore di persecuzione per motivi religiosi.
Nel contesto di questi approfondimenti, in giugno la Sem le ha concesso il diritto di essere sentita. Lei ha risposto il 16 agosto tramite la sua rappresentante legale Immacolata Iglio Rezzonico puntualizzando alcuni aspetti. Anzitutto la legale ha fatto presente che un rientro in Iran costituirebbe un serio pericolo per la sua assistita, poiché donna, cristiana, divorziata e con due figli, di cui uno non iraniano e nato all’infuori del matrimonio. E a tal proposito ha puntualizzato che sostenere che il secondo figlio sarebbe frutto di una relazione ‘extraconiugale’, come scritto dalla Sem, è «a dir poco offensivo», essendo il bambino nato «da una brutale violenza subita». Dopodiché l’avvocata ha fatto presente che qualora fosse obbligata a rientrare in Iran, a questo figlio verrebbe negata la cittadinanza e quindi tutti i diritti a essa connessi. Il bambino infatti potrebbe ottenere la cittadinanza iraniana se fosse discendente in linea diretta, da parte di padre, di un cittadino iraniano, cosa che non è. In base alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, il bambino ha diritto a un nome e ad acquisire una cittadinanza. Per contro in Svizzera il minore può essere considerato apolide (persona che non ha alcuna cittadinanza). Pertanto, sottolinea l’avvocata, «deve poter ottenere il permesso B per apolidia».
Riguardo alle perplessità sollevate dalla Sem sul fatto che la donna sia realmente una fedele cristiana, l’avvocata ha allegato un certificato di battesimo e due lettere di Luca Castellana, pastore evangelico della Chiesa Viva di Giubiasco che attesta l’impegno della 36enne nelle attività religiose della comunità. «È conclamata la fede cristiana della ricorrente, che se dovesse tornare in Iran non solo sarebbe perseguitata a causa della sua religione, ma sarebbe anche costretta a dover indossare un simbolo, che non solo non le appartiene in quanto donna, ma anche in quanto donna cristiana», fa presente l’avvocata riferendosi al velo hijab. Alla luce di tutte queste considerazioni, Immacolata Iglio Rezzonico ha quindi chiesto che a Noushin Azarnoush sia riconosciuta la qualità di rifugiata e concesso asilo, avendo peraltro subito persecuzioni già nel proprio Paese. Ciò che infatti l’aveva indotta a fuggire.
Tranciante l’ultima decisione della Sem emessa pochi giorni fa, il 28 agosto: a Noushin e ai suoi figli non viene riconosciuto lo statuto di rifugiati e le loro domande d’asilo sono quindi respinte. Secondo la Sem, il fatto che la donna abbia avuto un figlio fuori dal vincolo del matrimonio non costituisce un elemento sufficiente che la renderebbe perseguibile dalle autorità iraniane, affermazioni che la Sem basa sulle dichiarazioni ottenute dall’Ambasciata svizzera. «Le quali però non sono state prodotte in corso di procedura, nonostante io ne abbia fatto richiesta formale», precisa l’avvocata. Quanto alla partecipazione della 36enne alle attività religiose in Ticino, sempre secondo la Sem, “non vi è da considerare alcun timore fondato in caso di rientro in patria”. Contro questa nuova decisione l’avvocata Iglio Rezzonico ha già annunciato la volontà di interporre ricorso al Taf.
L’ultima decisione della Sem è fonte di grande inquietudine per la 36enne: «A Giubiasco mi sento finalmente a casa. Dopo anni di incertezza e difficoltà, è qui che io e i miei figli abbiamo trovato un luogo dove possiamo vivere con serenità e guardare al futuro con speranza», ci dice Noushin cercando di rimanere positiva riguardo all’avvenire. Suo figlio maggiore, in particolare, si è integrato molto bene. «Frequenta la scuola con entusiasmo e partecipa a diverse attività extrascolastiche. Quanto a me, nonostante la sfida di essere una madre single con due bambini, ho trovato una comunità che mi ha accolto con grande calore e comprensione, offrendomi un senso di stabilità e appartenenza che è fondamentale per noi tre. Immagino il nostro futuro qui, dove abbiamo trovato un luogo sicuro e accogliente per costruire la nostra vita», sottolinea con gratitudine.
Poi nei suoi occhi scuri si fa largo un’ombra al pensiero delle difficoltà per lei e i suoi figli in caso di rimpatrio: il maggiore, di 13 anni, a causa della conversione religiosa della madre potrebbe essere affidato alla famiglia del padre, mentre il minore, con buone probabilità, verrebbe internato in un orfanotrofio perché privo di certificato di nascita e perché nato da una violenza sessuale con padre dall’identità ignota. «La Sem non si rende conto del fatto che sono una mamma sola e che non ho scelto questa situazione. Faccio del mio meglio per i miei figli e per stare bene, ma a volte mi sembra che tutto questo sia troppo da sopportare», spiega Noushin con la voce rotta dalla commozione. «Se il ritorno in Iran fosse stato agevole non ci avrei messo molto e sarei tornata o sarei rimasta in Grecia. Ma lì le condizioni erano terribili: disoccupazione, mancanza di alloggi e la presenza costante di tossicodipendenti nei parchi dove dormivamo la notte rendevano la vita insostenibile. Per questo mi sono dovuta nuovamente spostare arrivando fin qui in Svizzera».
Il pastore Luca Castellana spiega come le quattro comunità – la Chiesa Viva di Giubiasco e le tre altre chiese sorelle – si siano attivate con una colletta di solidarietà per sostenere le spese legali ed economiche della famiglia. Poi aggiunge che: «Come cristiani, siamo chiamati a seguire l’esempio di Cristo, amando il prossimo senza distinzioni. Ogni persona ha un valore intrinseco essendo creata a immagine di Dio. La Svizzera si fonda su valori cristiani, che ci chiedono di vedere ogni essere umano con dignità e rispetto, e non come numeri o pedine. Desideriamo che questi valori siano praticati ogni giorno, e non solo per la celebrazione del Primo di agosto».