Nel mirino la Segreteria di Stato della migrazione, chiamata a intervenire a favore di una famiglia che ha vissuto per oltre tre anni nel Locarnese
Mira (nome di fantasia) e la sua famiglia curda del Nord Iran stavano bene in Ticino. Hanno vissuto nel Locarnese dal marzo 2019 al maggio 2022. Si erano integrati, i figli di 3, 5 e 7 anni frequentavano le scuole dell’obbligo. Avevano inoltrato la domanda di asilo politico il 29 marzo del 2019, domanda respinta dalla Segreteria di Stato della migrazione (Sem) il 30 aprile 2021. Dopo aver interposto ricorso al Tribunale amministrativo federale (Taf), la famiglia ha però deciso di rientrare volontariamente in Iran.
La vicenda di questa famiglia, che s’inserisce nel contesto geo-politico che nell’area è tornato conflittuale, è stata ripercorsa stamattina a Lugano nel corso di una conferenza stampa. Sì, perché, come ha spiegato l’avvocata Immacolata Iglio Rezzonico, il rientro della famiglia di Mira in Iran è stato favorito dalle autorità svizzere, che hanno esplicitamente fornito assicurazioni relative alla sicurezza. Di fatto, però, malgrado le garanzie, da parte del servizio di aiuto al ritorno, il marito della donna è stato arrestato di notte dalla polizia iraniana che lo ha imprigionato: la famiglia non può vederlo e nemmeno parlare con lui. Di fatto, non sa nemmeno se sia ancora vivo.
Ora di fronte a questa situazione, l’avvocata ha scritto alla Sem, chiedendo un visto umanitario per agevolare il rientro in Svizzera della moglie sola con tre figli, che continua a subire vessazioni e le irruzioni in casa da parte delle forze dell’ordine iraniane. «La famiglia si trova in una situazione di pericolo in un Paese dove da diversi mesi c’è uno stato di violenza generalizzata», ha raccontato Immacolata Iglio Rezzonico. La risposta? «La donna è stata invitata a recarsi all’Ambasciata svizzera di Teheran, dove potrà inoltrare la domanda di visto umanitario, quasi fosse una semplice formalità in un Paese dove regna il conflitto – informa l’avvocata –. La Sem continua a considerare i richiedenti l’asilo come numeri, anche se è chiaro che il governo iraniano ha preso in giro le autorità svizzere».
In questo caso concreto, secondo Iglio Rezzonico, «la Svizzera non sta facendo una vera politica di accoglienza. Peraltro, la Sem raccoglie informazioni da fonti che rimangono segrete e che parlano dell’Iran come di un Paese sicuro. Alla donna curda, che ha già subito violenza in Iran e che prima è stata ingannata dalle autorità svizzere, vengono posti ostacoli insormontabili. Questo si può definire come tortura psicologica. Non è possibile che la Sem decida sulla base di indicazioni raccolte dalle sue fonti sul posto, che restano segrete e non vengono mai rese note».
Prima di facilitare il ritorno di una famiglia appartenente a un’etnia storicamente perseguitata in Iran, le autorità avrebbero dovuto verificare la reale situazione in Iran. O perlomeno, più recentemente, rendersi conto di quanto stia realmente accadendo da oramai diversi mesi. L’avvocata ritiene che «la responsabilità di quanto accaduto al marito e alla famiglia indotta a rientrare in un Paese non sicuro in cui da settembre 2022 c’è un conflitto in corso, è soltanto della Sem che ora è chiamata a rimediare agevolando il rientro in Svizzera». Per sollecitare le autorità svizzere a prendere una decisione favorevole al ritorno in Svizzera della famiglia, è stata lanciata anche una petizione (https://chng.it/vgqBC8fb2b).
La "questione curda" è un susseguirsi senza fine di persecuzioni e diritti negati. La storia di questo popolo senza territorio, senza una patria ma frazionato tra Siria, Turchia, Iran e Iraq è riemersa oggi a Lugano, dove Ahmet Yaman, rappresentante e portavoce della comunità curda in Ticino ha riassunto le condizioni di conflitto: «Attualmente, in Iran si aggrava la drammatica repressione a opera del regime degli ayatollah contro le massicce manifestazioni in favore della libertà delle donne e della democratizzazione del Paese. Si tratta di uno dei più grandi movimenti di protesta popolare nel Paese dopo oltre 40 anni di dittatura. L’intifada è scattata dopo l’uccisione in carcere della giovane Mahsa (Jina) Amini, studentessa curda 22enne, avvenuta mentre era in custodia della Polizia morale di Teheran».
Dal settembre 2022, le manifestazioni si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il Paese e «stanno coinvolgendo ampie fette della popolazione a prescindere dall’età, dal genere e dall’appartenenza sociale, continuando nonostante la sanguinosa repressione e il controllo di internet da parte delle autorità iraniane», ha aggiunto il portavoce della comunità curda: «I disordini e i raduni, inizialmente scattati dopo la morte di Amini, proseguiti con lo slogan di ‘vita, donna, libertà’; contro l’obbligo del velo. Le proteste in poche settimane si sono estese a vasti settori della popolazione». Gli ha fatto eco la testimonianza di una giovane donna curda: «La rivolta è partita dal Kurdistan iraniano, ma anche prima di questa ondata di proteste le donne erano discriminate, ad esempio con i matrimoni forzati. Dopo Amini, altre ragazze sono state uccise nelle carceri iraniane, migliaia gli arrestati, mentre si susseguono le condanne a morte e le esecuzioni in seguito a processi sommari».