A Kiev quasi tutti i ministri sostituiti restano nell’apparato, salgono di grado o assumono ruoli di prestigio
La prima precisazione sulle sostituzioni di ministri in Ucraina è che a Kiev non si è aperta una crisi di governo: il governo non è caduto e il primo ministro, Denys Shmyhal, resta in carica. Le sostituzioni non sono legate alla scoperta di irregolarità amministrative, come avvenuto in passato, e neppure all’operazione militare a Kursk: erano attese da tempo.
Gli avvicendamenti governativi ucraini fanno più rumore in Occidente che nella stessa Ucraina. I media e la popolazione del Paese dedicano più attenzione ai bombardamenti con i quali la Russia sta colpendo senza ritegno obiettivi civili. Di certo, la partenza del ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, noto e apprezzato in Occidente, fa notizia. Sarebbe ingiusto, però, ritenere che il rimpasto di governo sia dovuto a contrasti interni, al di là della normale dialettica. Non vi è prova di tali conflitti, a dispetto dei complottisti che vorrebbero il governo di Kiev sull’orlo del collasso.
Alcuni commentatori di opposizione ritengono che i cambiamenti puntino a consolidare il potere di Volodymyr Zelensky e del suo partito “Il servo del popolo”. La critica è contrastata dal fatto che Zelensky e il suo partito detengono la maggioranza e hanno perciò piena legittimità di agire. Non tutte le sostituzioni chieste da Zelensky, peraltro, sono state approvate dal Parlamento senza contrasti: segno che fra le istituzioni esiste una dialettica, nonostante le anomalie dovute alla guerra. Proprio le dimissioni di Kuleba, ad esempio, sono state prima respinte, poi accettate solo in seconda battuta.
L’ordinamento dell’Ucraina è simile a quello della Francia: il capo dello Stato indica l’indirizzo politico di governo e ne affida la realizzazione a un primo ministro. Zelensky è sostenuto nelle sue decisioni da una squadra di consulenti tecnici. Si capisce meglio il senso di alcune sostituzioni di ministri se, anziché guardare alle funzioni che gli interessati hanno svolto sino a oggi, si guarda a quelle che svolgeranno da domani. Alexander Kamyshin, ministro delle industrie strategiche, diventa consulente del presidente: lascia una funzione esecutiva e assume un ruolo che incide sull’indirizzo politico del governo. La stessa promozione riceve Iryna Vereshchuk, finora ministra per i territori occupati. Per il ministro degli Esteri Kuleba si prepara un futuro a Bruxelles, per guidare l’integrazione europea del Paese. È difficile indicare oggi sullo scenario ucraino un diplomatico più adatto di lui a questo ruolo. Al ministero lo sostituisce il suo vice, Andriy Sybiha, anch’egli diplomatico di carriera.
Spicca la sostituzione del ministro della Giustizia, l’apprezzato Denys Maliuska: gli subentra Olha Stefanishyna, finora ministra dell’integrazione euroatlantica, nominata anche vice prima ministra con delega agli affari europei. Vi sono poi altre sostituzioni e nomine a ministeri che per vari motivi erano guidati ad interim. Quasi tutti i ministri sostituiti restano nell’apparato, salgono di grado o assumono ruoli di prestigio. È inesatto, perciò, definire il rimpasto un «licenziamento» di collaboratori da parte di uno Zelensky insoddisfatto.
Non si prevedono modifiche di linea politica. Potrà cambiare lo stile: l’Ucraina ha bisogno di tenere alta la fiducia dei suoi partner e convincerli a rimuovere le sempre meno comprensibili limitazioni nell’uso delle armi occidentali contro la Russia. Si vedrà nel prossimo, terzo inverno di guerra, quanto i nuovi nominati sapranno incidere.