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Una Festa campestre abbatte i muri della malattia mentale

Cinquant'anni dopo la nascita del Club '74 Casvegno apre il parco all'incontro con una manifestazione diventata ormai un evento popolare

Foto ricordo dalle passate edizioni
(Ti-Press/laRegione)
3 settembre 2024
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Ciascuno ha i suoi draghi da combattere nella vita. Il Quartiere di Casvegno a Mendrisio ne ha addirittura ‘adottato’ uno. Da tempo popola il Parco. E per chi vive la realtà dell’Osc, l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, ha un significato simbolico. Nato un trentina di anni fa dall’immaginario e dalle mani di un gruppo di operatori e di utenti proprio dell’Osc, da allora, ci fanno notare, scruta l’orizzonte, resistendo anche “alle intemperie del vento, del freddo e all’indifferenza”. Ecco che nell’anno del cinquantesimo del Club ’74 e in vista dell’ormai tradizionale Festa campestre, non poteva far mancare la sua presenza. Per l’occasione è stato anche restaurato, tornando a essere l’emblema splendente, come agli albori, della manifestazione per la quale è stato creato. “La sua rinascita – scrive Valentino Garrafa, animatore socioculturale del Servizio di socioterapia Osc – per noi simboleggia quel percorso d’inclusione che ancora dobbiamo perseguire attraverso valori fondamentali quali la solidarietà, la partecipazione e la bellezza dell’esperienza umana: se tendiamo le nostre prassi verso questi valori e principi, possiamo ragionevolmente sentirci appagati”.

Un appuntamento contro i pregiudizi

L’esperienza umana e terapeutica del Club ’74, una associazione che fin dal primo giorno persegue “finalità socioterapeutiche, relazionali e inclusive”, così come le Festa campestre – che attende tutti a Casvegno sabato prossimo, 7 settembre – hanno segnato, del resto, profondamente la realtà che oggi conosciamo con il nome di Osc, ma che in passato si chiamava Manicomio. Lo hanno fatto sfatando dei tabù, vincendo le paure e mettendo alla porta il pregiudizio. «La Festa – ci fa memoria Mauro Durini, coordinatore del Servizio di socioterapia – è nata ai tempi in cui la Clinica era molto chiusa, tra muri, reparti chiusi a chiave e separazione tra uomini e donne, e le degenze erano lunghissime. Le persone che venivano ricoverate lì, infatti, spesso e volentieri non ne uscivano più. L’approccio, dunque, era molto diverso. Quindi agli inizi la manifestazione è stata proposta come occasione per far incontrare i pazienti e i parenti. All’epoca le opportunità erano davvero poche e vi era un fantasma che aleggiava – e che aleggia ancora – su questo luogo. Si è quindi pensato – ribadisce Durini – a qualcosa per mantenere le relazioni familiari. Certo, oggi la situazione è completamente cambiata. Infatti, le degenze sono, al contrario, molto corte, si parla in media di circa venti giorni. A essere mutata è pure la politica a livello psichiatrico, che insiste molto affinché la persona, al di là dei suoi problemi, ritorni ad abitare il luogo che gli è familiare. La società, in qualche modo, deve farsene carico. Di conseguenza negli anni pure la Festa si è evoluta ed è diventata un evento di quartiere».

‘Per ridare voce ai malati’

In effetti, il parco si è aperto al gioco dei bambini, al passeggio e all’incontro, grazie anche alla presenza del Teatro centro sociale e di due istituti scolastici superiori. «L’intero comparto è diventato qualcosa di diverso – ci conferma il coordinatore – e la Festa campestre è divenuta una festa popolare, seppur connotata come una nostra manifestazione, che accoglie tutti, a cominciare dalle famiglie con bambini. Certo dietro le costruzione dell’evento, e in questo caso l’avvicinamento al 7 settembre prossimo, c’è tutto un lavoro terapeutico. La scelta e la condivisione del programma vengono fatte con i pazienti. La Socioterapia, d’altro canto, fonda le sue radici nel ridare voce e ruolo alle persone ricoverate. Ovvero permettere loro di esprimersi e di mettere a disposizione degli altri le loro conoscenze e il loro vissuto. Ognuno di loro ha una storia ed è portatore di qualche cosa». A mezzo secolo di distanza, non a caso, è possibile intuire il valore della realtà dei Club nella narrazione dei problemi di salute mentale. Di conseguenza pure nella modalità con cui tutti noi ci rapportiamo con la malattia psichiatrica. «I Club terapeutici, come il Club ’74 – fa presente Durini –, sono nati ispirandosi alla Psichiatria istituzionale di scuola francese. Diventando di fatto strumenti per ‘curare’ le persone, che non sono solo dei malati di cui prendersi cura, ma anche persone che, come detto, hanno una storia, capacità e conoscenze che in qualche modo possono mettere a disposizione degli altri. Questo passaggio ha un valore terapeutico enorme. Chi si trova in situazioni di difficoltà, infatti, spesso e volentieri ha un’autostima molto bassa».

La via ticinese

Nell’esistenza del Club ’74, a tutti gli effetti una associazione, ad avere una grande importanza e a segnare una svolta è stata la figura di Ettore Pellandini, fondatore del Club stesso e responsabile del Servizio di socioterapia Osc. «Pellandini ha ‘importato’ questa idea e lo ha fatto in un periodo che possiamo definire ‘florido’ di cambiamento della psichiatria, con l’esperienza francese e ciò che si muoveva in Italia con Franco Basaglia, l’antipsichiatria e la chiusura dei manicomi. E il Ticino – tiene a sottolineare il coordinatore – ha attinto da diverse parti, trovando poi una sua linea».

E da lì non ci si è più fermati. «Adesso i Club sono quei luoghi e quei momenti dove le persone, pazienti o utenti, ma anche operatori, si ritrovano e mettono a disposizione democraticamente – senza gerarchie – le conoscenze per sviluppare dei progetti. Va detto che i Club non hanno un finanziamento statale, ma devono autofinanziarsi. E anche questo è un aspetto interessante – rimarca Durini –: si viene accompagnati ma sono una entità indipendente, con statuti e cariche». A sancirlo dal 2010 vi è il Decreto legislativo votato dal parlamento e che assicura “il sostegno al Club ’74 dei pazienti attraverso il Servizio di socioterapia dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale”. In questi anni Mendrisio e il territorio e le sue istituzioni hanno comunque sempre risposto bene alle sollecitazioni del Club e della socioterapia. «Abbiamo sempre lavorato bene con la Città di Mendrisio. Pensiamo anche alla presenza alla Sagra dell’uva – con il punto di incontro analcolico, ndr –. Quest’anno non ci saremo, visto le concomitanze d’anniversario, ma il 14 settembre – fa sapere il coordinatore – saremo parte, sempre a Casvegno, della festa dei quartieri, in concomitanza con la Giornata della democrazia, in collaborazione con il Comune».

Il programma

Arrivano i Draghi

A Casvegno i preparativi all’ombra del drago fervono in vista di sabato. La Festa campestre si aprirà alle 10.30 e alle 12 vedrà tutti riuniti per il pranzo. Nel pomeriggio alle 14 andrà in scena lo spettacolo ‘Brenno Fire Arts’ (che replicherà alle 16). Quindi alle 15 l’artista Orit Guttman presenterà la sua arte di strada e mimo, mentre alle 17.30 sul palco ci sarà la musica rock dei Jaspers. Come sempre il programma ha in serbo tutta una serie di animazioni per la giornata con ‘Il grande Dragone’, i giochi dell’Edera, il Quadrifoglio e l’Adorna e i Centri diurni. Nel pomeriggio nel parco si incroceranno le proposte di Spamm e Agorà, il giro con i cavalli, ‘Ridere per vivere’, il trenino, il salto del carro e i giochi dei nonni. A fare da colonna sonora vi sarà pure un dj set. Mentre non mancheranno il Mercatino bazar al lago e le occasioni di ristoro.

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