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Le città di un solo genere non sono per tutte

Una prospettiva femminile nella pianificazione urbana per ‘un innervamento di nuove possibilità in una struttura già esistente’. Appuntamento a Bellinzona

Alcune necessità quotidiane si trovano ancora nell’ombra
(Keystone)
24 maggio 2024
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Si potrebbe definire come ancora piuttosto marginale la considerazione delle esigenze femminili anche nell’ambito della pianificazione del territorio. Se invece si tenesse maggiormente conto dei bisogni delle donne, la qualità dello spazio urbano migliorerebbe sensibilmente a beneficio dell’intera collettività fatta di una moltitudine di gruppi sociali, età, ruoli, generi. Di questo è convinta Katia Accossato, architetta, docente al Politecnico di Milano e viceresponsabile del Gruppo regionale ticinese di ‘Rete Donna e Sia’ (Società architetti e ingegneri) il quale si rifà al network nazionale femminile che comprende molteplici professioni ed è aperto a chiunque condivida i principi di parità e inclusività. Rete che sta promuovendo un ciclo di ‘conferenze territoriali’ in vari comuni del Ticino dal titolo ‘Donne per la città a confronto’.

La prevalenza dell’approccio tecnocratico

Come illustra Accossato, a essere prevalente nei processi di pianificazione urbana è un approccio di tipo tecnocratico, incentrato sulle infrastrutture. Le donne, però, per il ruolo che più frequentemente ricoprono, nella loro esperienza di ogni giorno si trovano maggiormente a confronto col resto del tessuto urbano che è meno considerato e che per questo presenta spesso delle problematiche. Si va dalla poca sicurezza che l’attraversamento di molte strade comporta, alla difficoltà di scendere e salire dai mezzi pubblici in determinati luoghi, dall’accesso difficoltoso ai marciapiedi con passeggini o sedie a rotelle, alla mancanza di zone d’ombra alle fermate o nei parchi, fino alla carenza di bagni pubblici con fasciatoi. Si tratta di aspetti che intralciano in prevalenza l’organizzazione della quotidianità delle donne in quanto statisticamente sono loro che guidano meno, usufruiscono maggiormente dei mezzi pubblici, camminano più a lungo e per tratti maggiori, e questo sia perché hanno minor disponibilità economica, sia per le incombenze legate al lavoro di cura e assistenza. Un lavoro di tipo ‘riproduttivo’ – ancora in larga parte non retribuito e appannaggio delle donne – che rispetto a quello produttivo risulta spesso invisibilizzato anche nell’ambito della pianificazione del territorio e non trova la dovuta considerazione.

L’alternativa della lentezza e del godimento

«Al discorso dell’efficienza infrastrutturale, che significa ad esempio poter raggiungere più velocemente il posto di lavoro o disporre di un garage comodo per posteggiare l’auto – articola l’architetta –, bisognerebbe affiancarne un altro legato alla dimensione della lentezza, della possibilità di fermarsi perché magari ci si sta prendendo cura di un bambino o di un anziano. In questo modo negli spazi pubblici collettivi – di questi si tratta, perché poi ognuno a casa fa quello che vuole, considera Accossato – si creerebbe la possibilità di fare un’esperienza di vita completa». L’effetto di integrare una prospettiva di genere nella concezione urbanistica è in definitiva quello di aumentare la qualità di tali luoghi, anche architettonicamente: «Con una panchina disposta in modo corretto, dei percorsi che permettano di fare una passeggiata gradevole – esemplifica la professoressa –. Questo significa commisurare gli spazi a una vita più lenta. E di conseguenza incentivare una maggior lentezza e sostenibilità anche nella mobilità grazie a una sorta di innervamento di nuove possibilità in una struttura già esistente. Il risultato è quello di aprire a un’altra maniera di vivere la città, non solo di attraversamento o utilizzo funzionale, ma anche di godimento e sosta».

Essere rappresentate laddove si prendono decisioni che contano

L’approccio di genere nell’ambito pianificatorio passa in primo luogo da una maggior presenza di professioniste laddove si prendono le decisioni. D’altro canto l’identificazione femminile con discipline legate agli aspetti più tecnici del territorio è ancora piuttosto debole se pensiamo alle professioni di ingegnere, geologhe, ecologhe o climatologhe e per questo serve un lavoro di decostruzione degli stereotipi durante tutto il percorso della formazione, ma anche negli stessi settori professionali dato che le donne presenti raramente vengono invitate a parlare in pubblico come esperte. Nell’architettura, dove invece le donne sono molte, il problema principale è che si attribuiscono loro competenze che riguardano maggiormente la sfera domestica e meno le capacità di visioni più ampie e strategiche.

Rivendicare un ruolo di orientamento

Tra i progetti sensibili al genere attuati nel nostro cantone viene spesso citata la rinominazione di alcune strade con nomi di personalità femminili allo scopo di modificare la toponomastica e valorizzare il contributo delle donne nello spazio pubblico. Ad esempio alla stazione di Mendrisio è stata apposta una targa commemorativa dedicata a Flora Ruchat-Roncati, prima architetta donna a insegnare al Politecnico di Zurigo. Altro progetto virtuoso è lo sviluppo di orti urbani concepiti quali luoghi di incontro per passanti, famiglie, bambini, anziani. «Si tratta di interventi interessanti che anche concettualmente hanno un grande valore, ma non bastano – afferma Accossato –. Non bisogna accontentarsi di essere relegate alla progettazione di piccole cose carine. Dovremmo rivendicare un ruolo che sia anche di orientamento, per incidere di più pure sulla pianificazione a lungo termine. Dovremmo essere più in prima linea e portare il nostro sguardo su una più grande scala», ribadisce. E questo è anche l’intento del ciclo di conferenze ‘Donne per la città a confronto’.

Incontri per stimolare i processi partecipativi

Partito lo scorso novembre a Locarno – prossimo appuntamento martedì a Bellinzona per poi proseguire in autunno con Lugano e Mendrisio-Chiasso –, il ciclo è volto a stimolare i processi partecipativi per promuovere spazi aggregativi secondo una prospettiva femminile. Obiettivi principali sono: rendere trasparente ed efficace la comunicazione dei progetti che trasformano la città; integrare metodologie partecipative per migliorare la qualità degli spazi collettivi; gestire l’ascolto ed educare a un maggior rispetto dell’ambiente; stimolare la coesione sociale. «Le abbiamo chiamate ‘conferenze territoriali’, perché presentiamo degli argomenti, ma sono per certi aspetti quasi più delle assemblee – spiega Accossato, che ne è ideatrice –. La nostra idea è di andare ogni volta nella sala consiliare del comune scelto e di attivare dal basso cittadine e cittadini per cercare di coinvolgerli in una discussione aperta in ambito pianificatorio. Normalmente sono messi sul tavolo gli argomenti legati a quanto concretamente sta succedendo in città. Si tratta di un modo per fare il punto sulle attività a cura del Municipio». Non c’è dunque la pretesa di sostituirsi all’ente pianificatorio, ma la volontà di condividere una riflessione sugli spazi aggregativi e i progetti in corso. L’invito è rivolto ad associazioni e a tutte le persone interessate alla tematica, esperte o meno, che vogliono portare la propria opinione. L’auspicio è che questi incontri facciano emergere delle visioni trasversali, anche dai giovani, di cui l’amministrazione possa tener conto».

L’appuntamento di martedì

‘Bellinzona e i suoi quartieri’

Durante la serata di martedì 28 maggio – nella sala del Consiglio comunale alle 20 – ci si concentrerà sul futuro di Bellinzona intesa come realtà di quartieri diffusi con una propria anima all’interno della stessa città. «L’idea principale è di provare a vedere anche con gli abitanti delle varie zone quali possono essere gli elementi da connettere – anticipa Accossato –. Si ragionerà sul lungofiume e sulle passerelle che si stanno sviluppando. Ma anche sugli edifici dismessi che possono essere recuperati, sulla zona della logistica lungo la ferrovia, sui magazzini comunali: tutte questioni in attesa di una prospettiva. Personalmente cercherò di stimolare un dibattito sul collegamento della parte storica dei castelli con il fiume, cioè sulle sorti di quella zona intermedia che presenta dei collegamenti efficiente grazie a una griglia di strade ma che potrebbe essere resa più vivibile». Bastano dei semplice marciapiedi o si può osare di più? C’è magari un parco che si può allargare in mezzo a tutti gli edifici dell’amministrazione cantonale? Queste e altre le domande aperte per parlare delle possibilità di un miglioramento della qualità urbana, per capire in che genere di città i cittadini e in particolare le cittadine desiderino vivere. Per informazione e prenotazione: donna.ti@sia.ch.