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‘Lavoravano per un'impresa della droga’, chiesti fino a 9 anni

Alla sbarra a Lugano tre uomini, accusati di aver trafficato ingenti quantitativi di cocaina ed eroina. Chiesta per tutti l'espulsione dalla Svizzera

Uno di loro ha trasportato oltre 7 chili di cocaina
(Ti-Press)
14 maggio 2024
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Un corriere, un imprenditore e un venditore al dettaglio, impiegati in una compagnia di distribuzione attiva a livello internazionale. Non si tratta però di un’azienda, ma di una rete di trafficanti di stupefacenti: i tre uomini appena citati sono gli imputati protagonisti del dibattimento tenutosi oggi alla Corte delle Assise criminali di Lugano. La similitudine con il mondo aziendale è stata espressa dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo, che ha definito il sistema con il quale i tre uomini sono accusati di aver collaborato, come una «società di servizi in grado di garantire un vasto approvvigionamento di stupefacenti sul nostro territorio».

I tre imputati sono accusati, in diversa misura, di aver trasportato, conservato, tagliato e spacciato ingenti quantitativi di eroina e cocaina. Quello che ha agito come corriere, un 54enne croato residente in Serbia, in particolare, ha trasportato, tra Lugano, Paesi Bassi, Germania e Svizzera interna, almeno 7 chili di cocaina e 4,5 chili di eroina, oltre a una quindicina di cellulari utilizzando un’auto appositamente modificata con un comparto segreto. Quello che la pp ha definito imprenditore, è un cittadino serbo 35enne, domiciliato a Lugano da una decina d’anni, imputato principalmente di aver funto da tramite con i vertici dell’organizzazione (prevalentemente cittadini serbi), e di aver detenuto e in parte spacciato oltre 6,5 chili di cocaina. Il terzo imputato infine, cittadino bosniaco di 42 anni cresciuto nel Luganese, avrebbe fatto lo spacciatore, soprattutto per finanziare la propria tossicodipendenza da cocaina e crack.

Chieste pene pluriennali ed espulsione

Non è la prima volta che il 35enne e il 42enne si ritrovano in tribunale per questioni di droga, come ha ricordato la presidente della Corte Francesca Verda Chiocchetti. Entrambi infatti sono già stati condannati a pene parzialmente sospese per fatti analoghi, e quella volta a entrambi era stato concesso il caso di rigore, per il quale non erano stati espulsi. Stavolta, Lanzillo ha richiesto per loro il decreto di espulsione, così come per il 54enne, che però ha già dichiarato che non intende opporvisi, a differenza degli altri due. Per il 54enne, che secondo l’accusa «ha agevolato il traffico dell’organizzazione, agendo per lo spirito di lucro e non causa di una dipendenza, non essendo lui un consumatore», è stata chiesta la pena maggiore, ossia 9 anni di detenzione e l’espulsione dalla Svizzera per 15 anni.

Come detto, la pp ha definito il 35enne come «un imprenditore. Egli non era un semplice acquirente, conosceva i vertici dell’organizzazione e beneficiava della loro fiducia. Nel 2020 era stato condannato a 2 anni e 6 mesi, 18 dei quali sospesi per due anni, e ha iniziato a delinquere nuovamente nel 2021. Ha la taratura del criminale, si è fatto ingolosire dal guadagno facile e si è prestato a commettere un crimine grave, mentre avrebbe potuto condurre una vita dignitosa, dato che aveva persino una propria ditta». Per lui è stata richiesta una pena complessiva di 7 anni, ossia 5 anni e 6 mesi a cui vanno aggiunti i 18 mesi sospesi della precedente condanna e l’espulsione dalla Svizzera per 7 anni.

Nei confronti del 42enne, che dal 2017 ha accumulato tre condanne tra cui la più pesante nel 2021 di 27 mesi parzialmente sospesa per 5 anni, è stata chiesta una pena di 3 anni e 8 mesi complessivi, per aver alienato almeno 400 grammi di cocaina. «La sua tossicodipendenza è stata comprovata dagli esami tossicologici – ha detto Lanzillo –, e questa costituisce un’attenuante, ma non implica che ci sia un disturbo di tipo psichiatrico, anche perché ha sempre mostrato lucidità e compostezza».

‘Ha agito per mantenere la sua famiglia’

La patrocinatrice del 54enne, l’avvocata Chiara Donati, ha dichiarato che il suo assistito è sostanzialmente reo confesso e ha contestato l’aggravante di aver agito in banda. «Era un semplice manovale, un ausiliario. Si è dimostrato collaborativo, ammettendo anche dettagli che avrebbe potuto omettere. È entrato nel giro dopo che il 2020 ha perso il suo lavoro a causa della pandemia, e ha dovuto trovare un altro modo per guadagnare per supportare la propria famiglia». Donati ha dunque chiesto che la pena fosse ridotta a 4 anni e 6 mesi: «Ha capito il proprio errore e non vuole più tornare più tornare a quella vita. Una pena eccessiva non avrebbe un maggiore potere rieducativo».

‘Se torno in Serbia verrò ucciso’

«Si è ritrovato a dover ubbidire agli ordini sotto minaccia, a causa di un debito contratto dalla sua famiglia in Serbia – ha dichiarato l’avvocata del 35enne, Carolina Lamorgese –. Adesso vive ancora sotto minaccia, perché l’organizzazione lo reputa responsabile del sequestro della droga. Non ha mai fatto parte di una banda ma si è ritrovato a dover agire da depositario, delinquendo con il solo scopo di pagare il debito e proteggere la sua famiglia». Le minacce ricevute sono state riportate anche dallo stesso imputato in aula: se tornasse nel suo Paese natale, quasi sicuramente rischierebbe di venir ucciso. Per questo, la sua avvocata ha chiesto che non venisse espulso, oltre a una pena non superiore ai tre anni.

‘Non conosce la lingua, non può essere espulso’

Anche per il 42enne l’avvocato Giovanni Augugliaro si è opposto all’espulsione, dal momento che per lui costituirebbe «una condanna sociale». L’uomo infatti conosce pochissimo il serbo, e non ha nessun contatto con il suo paese d’origine. Non si è invece pronunciato sulla pena: «Non vuole evitare la sanzione ma farsi aiutare, quindi chiediamo che sia prevista anche una misura stazionaria per aiutarlo a guarire dalla sua tossicodipendenza». La sentenza sarà pronunciata giovedì.